Page 94 - I templari e il filo segreto di Hiram
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campagne circostanti. Per indebolirla Ottone III non aveva
esitato a mandare a morte il loro gran patriarca: il conte Giovanni
Crescenzio II, noto come il Nomentano, ma non aveva osato,
forse per intrinseca debolezza, perseguire l’intera famiglia. E ora,
dopo quattro anni, i Crescenzi si rivoltavano contro l’imperatore,
coinvolgendo anche il papa, con il sostegno del popolo romano,
sempre eccitabile, aizzato contro gli stranieri: il germanico
Ottone e il francese Gerberto.
A causare la repentina e violenta rivolta esplose fu
l’introdurre di un tributo per il mantenimento di un permanente
esercito imperiale.
Urla esagitate, come spesso accadeva in quelle strade ridotte a
cloache, si levarono furiose, si accavallarono e divennero tuono
d’inarrestabile tempesta. Nessuna avvisaglia aveva indotto a
presagire un simile temporale. E l’imperatore e il papa furono
colti di sorpresa.
Ben presto il ruscello divenne fiume in piena e fu necessaria
una fuga precipitosa a Ravenna, da dove per tre volte il giovane
imperatore tentò invano di marciare sulla città, sempre respinto.
Al terzo tentativo, all’età di ventidue anni, Ottone III morì a
Castel Paterno, presso Faleria, ai piedi del monte Soracte, a
quaranta chilometri da Roma.
Era il 24 gennaio dell’anno 1002 e l’imperatore era giunto in
quel castello due giorni prima. In quegli stessi giorni, nonostante
la stagione invernale, la principessa bizantina Zoe, figlia
dell’imperatore Costantino VIII veleggiava verso l’Italia, per
sposarlo! Tre le ipotesi per quella morte altamente sospetta,
peraltro espresse da fonti dell’epoca: la malaria contratta nelle
malsane paludi che circondavano Ravenna o, forse, con maggiore
probabilità, un avvelenamento come per il Grande Alessandro, il
macedone. Un avvelenamento ordito dall’amante stessa
dell’imperatore, molto più anziana di lui: l’avvenente e fatale
Stefania, nientedimeno che la vedova di Giovanni Crescenzio,
che l’imperatore aveva messo a morte quattro anni prima. Se così
fu, si trattò davvero di una vendetta tardiva: un piatto consumato
freddo! La terza ipotesi privilegiava un acciacco naturale: il
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terribile male delle costole , tipico degli inverni particolarmente
rigidi; ma nessuno, a Roma, la prese mai in considerazione.
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polmonite
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