Page 197 - I templari e il filo segreto di Hiram
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                affilati pugnali nel costato. Quel giorno al potente marchese gli
                mancò il tempo di raccomandare l’anima a Dio e gli restò negli
                occhi sbarrati l’orrore della sgradita sorpresa.
                     Per  la  verità  gli  “hasciascin”  non  facevano  differenza  tra
                cristiani e mussulmani. Prima di Corrado era caduto sotto le loro
                lame ricurve Nizàm al-Mulk: visir del sultano Malik-Shah. Era il
                16 ottobre dell’anno del Signore 1092, quattrocentosettantesimo
                anno  dell’Egira,  quando  la  grande  crociata  che  avrebbe
                conquistato  Gerusalemme  era  ancora  da  venire.  Quel  giorno  il
                gran  visir  tornava  al  suo  harem  dopo  le  solite  udienze  e  già
                pregustava  le  delizie  muliebri  alle  quali  si  accingeva  ad
                abbandonarsi,  quando  incappò  in  un  derviscio  che  aveva
                l’aspetto  di  un  sant’uomo  ispirato  da  Dio.  Un  attimo  dopo,
                fulmineo,  l’inviato  da  Hasan-i-Sabbàh,  mitico  fondatore  della
                setta, gli conficcava nel cuore la lama affilata di un pugnale. Da
                quel momento il terrore corse con il vento tra le fronde dei cedri
                sulla  verdeggiante  costa  del  Libano  e  nei  dorati  deserti  della
                Siria.
                     Gli "hasciascin" cominciarono a trovarsi in difficoltà quando
                il  potente  Noradino  riuscì  a  scacciarli  da  Damasco,  perla
                d’Oriente, relegandoli sulle impervie montagne.
                     Pare  che  almeno  un  sovrano  maestro  dei  Templari  ebbe
                rapporti con “gli Assassini”: Filippo de Le Plezzies e, più ancora,
                il funzionario del Tempio noto come “il guardiano della Volta di
                Acri”, grande ammiraglio della flotta templare.
                     Per duecento anni il “vecchio della montagna”, noto con il
                nome di Shakik al Giaba, fu il terrore di mussulmani e cristiani,
                arabi  e  persiani.  Un  vecchio  attorno  al  quale  inevitabilmente
                fiorirono le leggende. Pare che all’interno della sua vasta fortezza
                sorgesse  il  magnifico  “Giardino  del  loto”:  luogo  segreto  noto
                soltanto  agli  adepti  più  fidati.  Un  giardino  lussureggiante  dalle
                porte  dorate  tra  aspre  gole  deserte,  dove  zampillavano  cento
                meravigliose  fontane  e  dove  abbondava  ogni  tipo  di  frutto.  In
                questo nascosto paradiso terrestre si aggiravano animali esotici e
                splendide fanciulle, strappate giovanissime alle loro famiglie per
                diventare  amanti  del  “grande  vecchio”  e  dei  suoi  favoriti.  Gli
                adepti della setta, storditi dall’hascisch, vi entravano per un solo
                giorno e assaporavano il paradiso, godendosi piaceri irripetibili.
                Il  giorno  dopo,  riaddormentati,  spossasi  nei  sensi,  travolti
                dall’intenso  godimento,  sedotti  da  molteplici  orgasmi,  erano
                condotti  fuori  da  tanta  meravigliosa  per  essere  introdotti  al


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