Page 136 - I templari e il filo segreto di Hiram
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legittima, poiché il re pretendeva di attingere dal tesoro regale e
non dai depositi templari.
L’esercito templare ammontava a più di 10.000 uomini in
armi: 600 cavalieri e altrettanti scudieri, 2.000 sergenti e 2.000
turcopoli; ai quali andavano aggiunti circa 5.000 inservienti e
migliaia di cavalli. Un esercito formidabile per quei tempi,
soprattutto se coeso e determinato come quello templare e
sempre in campo: un esercito che assorbiva risorse enormi. 5.000
cavalli, inoltre, costituivano un serio problema in una regione
prevalentemente desertica come l’Oriente, poiché dovevano
essere riforniti costantemente di biada e fieno. Pare che la flotta
facesse la spola con l’isola di Cirro e con Creta e la Sicilia.
Si diceva che i Cavalieri del Tempio non temessero nessun
il numero degli avversari che avevano di fronte. Ed era vero!
Occorre inoltre ricordare che 13 dei 22 Sovrani Maestri
dell’Ordine del Tempio morirono in battaglia: armi in pugno.
Vi furono cariche esaltanti, a volte suicide, come quella
ordinata nella battaglia di Marj Ayyun, dove il gran maestro
Oddone de Saint-Armand esortò i suoi a travolgere la fanteria
saracena, nonostante l’enorme sproporzione di forze in campo.
Per un altro sovrano maestro, quel Gerard de Ridefort
responsabile della disfatta dei “Corni di Hattin”, era
insopportabile che i Templari fossero sospettati di eccessiva
prudenza.
Il fatto d’armi più esemplare fu forse quello di Ascolona, nel
mese di luglio del 1153.
I Templari, aperta una breccia tra le mura, pretesero d’essere
i soli ad entrare in città. Il gran maestro Bernard de Trémelay
guidò la carica di quaranta cavalieri, il fior fiore dell’esercito
templare, e lasciò altri uomini a presidio della breccia: non tanto
per respingere eventuali tentativi degli assediati di chiuderla,
quanto per impedire agli altri cavalieri cristiani di entrarvi. Ma
ben presto la breccia fu chiusa dai Saraceni e dei quaranta
temerari, inghiottiti dalla città, nessuno tornò indietro. Le loro
teste mozzate furono inviate in dono al califfo in Egitto.
A sostegno della permanente campagna bellica, che durò
due secoli, le “Lingue” occidentali, a eccezione di quelle
iberiche, erano tenute ad accantonare un terzo delle loro entrate
da inviare in Oriente.
Una cospicua fonte di reddito era costituita dalle donazioni,
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