Page 100 - I templari e il filo segreto di Hiram
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                   La maldicenza è come pane che lievita!
                   Un  confessore  di  Trastevere,  un  certo  Quirino,  avvezzo  a
                sedurre le donne maritate che gli svelavano i peccati da adultere
                durante  indicibili  confessioni,  diede  per  primo  un  nome  a  quel
                diavolo;  anzi,  lo  volle  diavolessa,  allo  scopo  di  colpire
                maggiormente la fantasia popolare: Meridiana.
                   Un  certo  Erminio,  prelato  presso  la  basilica  di  San  Pietro,
                simoniaco  e  pedofilo,  blaterò  infingardo  di  aver  visto  il  papa
                giocare in compagnia di quella diavolessa, a un gioco strano, su
                una  scacchiera,  muovendo  torri,  cavalli,  re,  regine,  elefanti,
                vescovi…  che  il  papa  lo  chiamava  “il  gioco  dell’imperatore”.
                Anche l’imperatore Ottone si dilettava in quel gioco demoniaco,
                insegnatogli  dal  papa,  e  per  questo  era  morto  in  giovane  età:
                punito da Dio.
                   La maldicenza è pianta che può crescere e diventare enorme,
                soprattutto se prospera sulla tomba di un papa!
                   Una pianta che sarebbe durata cinque secoli, diffusa in tutta
                Europa, e vani sarebbero stati gli onesti tentativi di difesa della
                memoria di un grande papa, come quello di Richerio, monaco di
                San  Remigio,  che  dedicò a  papa  Silvestro  II  quattro  libri  dove
                rievocava il  suo  ingegno, la sua  magnanimità,  il  suo  sapere,  le
                sue incredibili conoscenze. E altri ancora lo elogiarono: un lungo
                elenco  dove  figurano  Ditmaro  da  Marseburgo,  Ademaro
                Campanense, Radulfo Glabro, Ermanno Contratto, quest’ultimo
                affascinato dall’astrolabio custodito nel monastero di Reichenau,
                e  Mariano  Scoto,  Ugo  Floriacense…  Ma  tanta  dedizione  non
                bastò. Gli elogi si dissolsero come neve al sole, lasciando posto
                alla gramigna.
                   Alla  storiella  della  diavolessa  Meridiana  ne  seguì  un’altra,
                all’apparenza innocua.
                   In  Campo  Marzio  a  Roma  c’era  una  statua  di  bronzo
                dell’imperatore  Augusto:  bellissima,  con  l’indice  della  mano
                destra proteso in avanti e una scritta Hic percute (percuoti qui!).
                Da  secoli  tutti  percuotevano  quella  statua,  persino  a  mazzate,
                senza  risultato;  finché  papa  Silvestro  II  si  attardò  a  studiare
                l’ombra di quel dito a mezzogiorno, durante il solstizio d’estate,
                memore  di  Eratostene  che  aveva  misurato  la  circonferenza
                terrestre  con  l’ombra  di  un  obelisco.  Poi  piantò  un  picchetto
                all’estremità  di  quell’ombra,  per  tornarci  a  notte  fonda  con  un
                cameriere fidato e cominciare a scavare. In tal modo dissotterrò
                una  splendida  villa  dimenticata  da  secoli,  con  le  pareti  tutte


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