Page 81 - La Massoneria Rivelata
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Garibaldi, il santo laico, il profeta della nuova Italia, ricopriva
                il suo ruolo senza lesinare strali a chi considerava la nemica per

                eccellenza  dell’unità  nazionale:  la  Chiesa.  Combattere  il  papa

                divenne il dovere di ogni onesto, il prete «bugiardo e sacrilego
                insegnatore  di  Dio  ed  ostacolo  primo  all’unità  morale  delle

                nazioni» andava eliminato. Era comunque ottimista: il dominio
                della «nequizia sacerdotale» sarebbe crollato e sulle sue rovine

                sarebbe sorto il regno de «la ragione e il vero».
                    Odiava in particolare Pio IX, «il primo nemico d’Italia», «il

                pontefice della menzogna»,  «il puntello  di tutte  le tirannidi,  il
                corruttore delle genti». Arrivò a chiamare uno dei suoi asini con

                il  nome  del  pontefice  e,  nel  1869,  complimentandosi  per
                l’organizzazione  dell’anticoncilio  di  Napoli,  sembra  che  lo

                definisse  un  «metro  cubo  di  letame».  Anche  la  sua  opera
                letteraria  rigurgita  di  anticlericalismo,  così  nel  Poema

                autobiografico  moderati  e  clericali  sono  dannati  alla  stessa
                gogna: «Moderati!… e finiamola; il lezzo sgorga / Dalla penna,

                scrivendo il scellerato / Infame nome. Voi la stessa creta / Veste

                a  color  del  Vatican  simile».  Non  contento,  in  una  poesia
                dedicata a Giosuè Carducci, vate «illustre di Satana», chiamava

                la Chiesa «lue sacerdotale».
                    Il meglio di sé lo offrì nel romanzo Clelia ovvero Il governo

                dei preti. I protagonisti sono patrioti costretti a vedersela con gli
                sporchi  complotti  di  sacerdoti  lascivi  e  di  abietti  clericali.  La

                trama ha per protagonista Clelia «la perla di Trastevere», che i

                preti, «schiuma dell’inferno», vogliono concupire. A latere della
                vicenda vi è spazio per tutto, anche per la storia del figlio di un

                papa  Farnese  che  «violò  il  vescovo  di  Fano  di  cui  si  era
                innamorato». Alla fine, Garibaldi stesso dubitò di aver superato

                il limite, tanto da affermare: «Se la mia penna troppo sovente
                s’intinge  nel  fiele  e  se  sovente  si  tempera  non  col  gentile

                temperino  ma  con  l’acuto,  triangolare,  terribile  pugnale  del
                carbonaro ne ho ben donde». Non fu di tenore diverso, per stile





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