Page 220 - La Massoneria Rivelata
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Di tenore completamente diverso è una delle opere più
celebri della letteratura italiana: Pinocchio, di Carlo Collodi. La
favola si presta come non mai a un’interpretazione in chiave
massonica, anche se, per la sua “carica inesauribile di simboli, di
enigmi e di allegorie”, è stata letta sotto molteplici angolature.
C’è chi ha visto celata nella storia del burattino “la morale
mazziniana dei doveri dell’uomo” (Spadolini), chi il riscatto da
“una piatta ideologia borghese” (Asor Rosa), chi un percorso
psicanalitico (Emilio Servadio). Vi sono poi coloro che hanno
intravisto nel romanzo collodiano temi magico-stregoneschi,
antroposofici, cristiani, alchemici, astrologici e così via.
A noi interessa verificare la chiave interpretativa massonica,
che non è per niente campata in aria.
Iniziamo dall’autore. Carlo Collodi, alias Carlo Lorenzini
(1826-1890), figlio di un cuoco e di una cameriera, studiò in
seminario, ma a vent’anni, accortosi di non essere tagliato per la
tonaca, cambiò stile di vita. Fu volontario nella prima e nella
seconda guerra d’indipendenza, divenne giornalista e critico
teatrale, per trovare poi un impiego presso la Prefettura di
Firenze. Lo stipendio gli procurò un certo sollievo, anche perché
era spesso alle prese con i debiti, figli del vizio del bere e del
gioco d’azzardo.
Acceso mazziniano, entrò in giovane età in massoneria, come
testimonia una lettera scritta a Pietro Barbera nel 1844. Questa
sua militanza contribuì probabilmente a farlo divenire uno
scrittore per l’infanzia, visto che, proprio in quel periodo, la
Libera Muratoria italiana lottava per l’affermazione di una
pedagogia laica, capace di «dirozzare le menti delle classi meno
agiate, sottraendole all’ignoranza ed alla speculatrice
superstizione, nell’intendimento di togliere i fanciulli dalle ugne
dei preti». Pertanto l’impiegato massone e repubblicano scrisse
novelle per bambini che riscossero un certo successo, come
Giannettino e Minuzzolo.
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