Page 218 - La Massoneria Rivelata
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perfidi fratelli, A se stessi, e a Dio ribelli, / Giacque estinto, ahi
                pena! Al suol. / Non tradì l’invitto e il forte / la sua fede un dì

                giurata; / e la man, di ferro armata, / Non curò fra il pianto e il

                duol, / A vedere il tempio augusto, / Consacrato al Dio di pace,
                Scende un giorno il Mastro audace, / Quando il sole è in mezzo

                al dì. / All’Occaso un empio ingiusto / La parola a lui richiede; /
                Ma poi che costante il vede, / La sua gola il reo ferì. / Venne a

                l’Austro, e incontra ancora / Altro reo, che cerca il segno: / Quei
                gliel  niega,  e  l’empio  indegno  /  Gli  trafigge  in  petto  il  cor.  /

                Semivivo e’ fugge allora / Verso Borea; e un altro il preme; / Gli
                apre il ventre, e alle ore estreme / Va del Tempio il Fabbro autor.

                / Nella notte ombrosa e oscura / Su di un monte è già sepolto; /
                E sol è di polve involto / dalla barbara pietà».

                    Segue  la  descrizione  di  un  tempio  massonico,  con  la  volta
                stellata, le colonne e gli altri arredi simbolici: «Che veggio? Un

                edificio, / Di forma quadra e augusta, / Asconde fra le nuvole /
                La fronte sue vetusta. Otto colonne eburnee, / In faccia a quattro

                venti, / Dall’ira lo sostengono / De’ più ferali eventi. / Vi osservo

                cifre,  e  lettere,  /  Sculte  da  industre  mano,  /  Ma  sono  oscuri
                simboli  /Al  cieco  volgo  insano.  […]  /  Che  leggo?  È  questo  il

                tempio / Sacro alla Dea Sofia, / Lungi il profano, e l’empio, / Sen
                vada ogni alma ria. / Un vecchio venerabile / Già mi apre l’uscio,

                e il chiude / A chi è tra le altre tenebre, / A chi non ha virtude».
                    In  questo  luogo  si  rifugia  l’iniziato,  fuggendo  dall’oscuro

                mondo  profano,  dominato  dall’ignoranza  e  dal  pregiudizio  e,
                insieme  ai  confratelli,  vi  trova  il  conforto  della  luce  interiore:

                «Nel mondo di pene / Già vissi meschino / Di forti catene / mi
                cinse il destino. / Non vidi un amico, / che fosse sincero; Il novo,

                e  l’antico  /  Seguiva  l’impero  /  […]  La  spada  alla  mano,  /  La
                benda su i lumi / Men vado lontano / Per monti, per fiumi. /

                Inciampo nel passo, Mi volgo, mi aggiro: / Al vario fracasso /
                Vaneggio, deliro. / Per valli, per monti / Già parmi, che vado: /

                Per piani, per ponti / Già corro, già cado. / Confuso bisbiglio /

                Di  bronzo,  che  squilla,  /  Mi  addita  il  perielio  /  Del  pié  che


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