Page 219 - La Massoneria Rivelata
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vacilla, / […] Qual altro Teseo, / Vo incontro alla morte, / Su,
schiuda ad Orfeo / L’inferno le porte. / La stigia palude / Già
varco col piede, L’Elisio si schiude / All’alma che ha fede».
Pessimi versi, ma unici nel loro genere, che testimoniano il
profondo senso di appartenenza alla massoneria dell’abate
calabrese.
Nel XIX secolo, invece, poeti e scrittori massoni piuttosto che
celebrare la Libera Muratoria alla maniera di Jerocades
preferirono polemizzare con la Chiesa, considerata la nemica
della nuova Italia e del progresso.
Abbiamo già parlato di Giosuè Carducci e di Giuseppe
Garibaldi in veste di scrittore, ora dedichiamo qualche parola ad
autori in parte o del tutto dimenticati quali Goffredo Mameli,
Luigi Mercantini e Mario Rapisardi. Quest’ultimo, considerato
dal segretario del Grande Oriente d’Italia, Ulisse Bacci, uno dei
massoni «fra i più prestigiosi del suo tempo», nel 1868 pubblicò
Palingenesi, una sorta di storia dell’umanità dove la Chiesa era
considerata la madre di tutte le corruzioni; non bastandogli,
nove anni più tardi dette alle stampe Lucifero, una raccolta di
diecimila illeggibili versi irreligiosi e blasfemi.
Più moderato fu Luigi Pietracqua, torinese, autore dialettale,
fondatore e direttore della «Gaseta ’d Gianduia», sulla quale
pubblicò numerosi racconti e romanzi d’appendice. La sua
opera più celebre è Don Pipeta l’Asilé, un apologo
sull’oscurantismo combattuto dalle forze progressiste, fra le
quali la massoneria.
Altro autore di fama fu Giovanni Bovio, vate di un’Italia
laica, liberata, dopo secoli di prostrazione, dai tentacoli del
clericalismo. Pubblicò diversi drammi, fra i quali Cristo alla
festa di Purim e San Paolo. Da non dimenticare poi Giovanni
Faldella, massone militante e autore di una vasta produzione
letteraria, nella quale spicca il volume Viaggio a Roma senza
vedere il papa, pervaso di “schiette motivazioni massoniche”.
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