Page 202 - La Massoneria Rivelata
P. 202

ispirati dalla stagione toscana dell’autore, la parola si fa musica,
                ritmo,  e  richiama  gli  spiriti  della  terra,  le  forze  ancestrali,

                terribili e fascinatorie della Natura. Fiori, alberi, selve, paludi si

                animano, risvegliandosi da un torpore antico, acquistano forma
                umana,  e  dalla  bruna  verzura,  dalle  lame  di  acqua  morta,

                dall’ansimare  del  mare  emergono  centauri,  silfidi,  ninfe.  Vi  è
                inoltre in questa poesia «la visione panica della Natura, il senso

                eroico  dell’esistenza,  la  forza  di  un  pensiero  libero  sopra  ogni
                limite».

                    Ne La morte del cervo, a vespro, una figura ambigua solca le
                acque del Serchio: «Lo conobbi tremando a foglia a foglia. / Ben

                era il generato dalla Nube / acro e bimembre, uomo fin quasi al
                pube, / stallone il resto dalla grossa coglia».

                    Il centauro partorito dalla congiunzione di Issione con una

                nuvola  rappresenta,  ancora  una  volta,  la  convivenza  di  forze
                negative  e  positive,  è  «un’immagine  toccante  della  duplice
                natura  dell’uomo,  bestiale  e  divina  al  tempo  stesso»,  un’icona

                della lotta fra conscio e inconscio, fra le pulsioni del profondo e

                la ragione.
                    Una  simile  immagine  era  particolarmente  cara  a

                D’Annunzio, e nel Compagno dagli occhi senza cigli spiegò quale
                valore dava al centauro: «Non è raffigurata da quella attitudine

                la  specie  tragica  ed  ascetica  dell’uomo  nuovo  che,  avendo
                impresso  alla  sua  propria  vita  i  più  terribili  impulsi  degli

                Elementi,  solleva  in  sommo  il  suo  spirito  per  signoreggiare
                l’eccesso  di  quella  veemenza  pronta  a  travolgerlo  e  ad

                annientarlo s’egli per un attimo interrompa la sua disciplina o
                allenti il suo volere?»

                    Oltre  al  “bimembre»,  in  Alcyone  emerge,  per  splendore

                poetico  e  forza  evocativa,  una  naiade,  Undulna,  che  trascrive
                sulla  sabbia  della  battigia  la  partitura  di  una  melodia  divina:

                «Pellucide son le mie gambe / come la medusa errabonda, / che
                il puro pancrazio e le crambe / difforme sorvolano e l’onda. / Io





                                                          202
   197   198   199   200   201   202   203   204   205   206   207