Page 195 - La Massoneria Rivelata
P. 195

Mua,  il  padre,  un  mostro  di  vecchiaia  umana  […]  tentava
                vagamente con la punta del bastone i mattoni intorno a sé per

                scoprire la causa del rumore improvviso […] Allora ai piedi del

                mostro orrendo, in mezzo al sangue del peccato, la sposa violata
                del Signore per alcuni attimi si agitò nella convulsione mortale

                […] Il vecchio credendo che fosse entrato il mastino del beccaio,
                allungava il bastone per scacciarlo; e percoteva la moribonda».

                    Nel  Traghettatore,  invece,  la  narrazione  è  caratterizzata  da
                una  continua  anticipazione  del  fato.  Nel  racconto,  ispirato  da

                uno  scritto  di  Guy  de  Maupassant,  l’anziana  Laura  Albònico
                desidera  vedere  il  figlio,  avuto  in  gioventù  da  una  relazione

                clandestina. Il suo  è un  viaggio verso  la morte,  preannunciata
                dalle  figure  deformi  che  incontra  lungo  il  cammino,  dai

                mendicanti  simili  a  demoni  infernali,  dalle  sensazioni  che  il

                momento e il paesaggio generano su di lei, cosicché «il fruscio
                dei  rami,  il  canto  delle  cicale,  il  lampeggio  delle  acque  […]  le
                dava  ora  una  visione  leggermente  rossa,  un  principio  di

                vertigine». Infine il figlio traghettatore appare, come una sorta

                di  Caronte,  nella  sua  ferinità  dettata  dagli  occhi  iniettati  di
                sangue,  dal  petto  villoso,  dalla  sua  «incompostezza  brutale»  e

                dalle  mani  «enormi,  gonfie  di  vene  sul  dorso».  Sulla  chiatta
                infernale si svolge l’ultimo tragitto e nelle acque del fiume vi è

                l’epilogo  della  storia  di  Laura  che,  incontrando  il  frutto
                dell’antica colpa, ne pagherà il fio con la morte.

                    Era ovvio che D’Annunzio, così ricettivo a tutto ciò che fosse
                ammantato  di  mistero,  subisse  il  fascino  della  massoneria  la

                quale, a sua volta, vide nell’abruzzese il vate della nuova Italia, il
                personaggio in grado di risollevare le sorti del Paese, umiliato

                dalla  pace  di  Versailles.  Non  a  caso  i  rapporti  fra  il  nostro  e
                l’istituzione  divennero  particolarmente  intensi  durante  il

                periodo dell’avventura fiumana. A quei mesi risale il carteggio
                con Giacomo Treves, un Fratello di Palazzo Giustiniani, al quale

                D’Annunzio scrisse: «Bevi con i compagni questo fervido vino





                                                          195
   190   191   192   193   194   195   196   197   198   199   200