Page 191 - La Massoneria Rivelata
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d’Italia è cosa nota, più complesso è individuare spunti
latomistici nella sua vasta produzione poetica, dalla quale
comunque emerge un forte anticlericalismo, aspetto distintivo
della massoneria peninsulare di quel periodo. Nella lirica Alle
fonti del Clitumno, ad esempio, scrisse: «Roma più non trionfa. /
Più non trionfa, poi che un Galileo / di rosse chiome il
Campidoglio ascese, / gittolle in braccio una sua croce, e disse /
Portala, e servi. / […] e sovra i campi del lavoro umano / sonanti
e i clivi memori d’impero / fece deserto, et il deserto disse /
regno di Dio».
Pure in Juvenilia il poeta aveva mostrato la sua vis da
mangiapreti, componendo versi di tal genere: «Già leva il
maggior prete in bianche stole / Tra la sua turba imbestiata e
scempia / La man benedicente e le parole. / Nefandi! Oh venga
dì che sangue v’empia / Sì che v’affoghi, e sia quel che voi cole /
Da i sen forati e da la rotta tempia».
L’opera del toscano che fece maggiormente scalpore fu però
L’inno a Satana, un carme che voleva esaltare il progresso,
raffigurato come la “locomotiva-demone”. Scrive Aldo
Alessandro Mola: «Il suo Satana, inno alla scienza, alla
modernizzazione, era un Garibaldi in senari: doveva impedire
agl’italiani di assopirsi sulle rive del Po e, dopo le Convenzioni
di settembre 1864, su quelle dell’Arno».
In realtà, la celebre composizione contribuì ad accreditare la
fola del satanismo massonico. Strofe di questo genere, in effetti,
scandalizzarono anche chi apprezzava il vate della Maremma:
«Te invoco, o Satana / Re del convito. / Via l’aspersorio, / prete,
e ’l tuo metro! / No, prete, Satana / Non torna in dietro! / Vedi:
la ruggine / rode a Michele / il brando mistico, / ed il fedele /
spennato arcangelo / Cade nel vano. / Ghiacciato è il fulmine / a
Geova in mano / […] / Gittò la tonaca / Martin Lutero: / Gitta i
tuoi vincoli, / Uman pensiero / […] / Salute, o Satana, / O
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