Page 178 - La Massoneria Rivelata
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avvelenata è condotta a poco a poco ad uno stato di debolezza e
di consunzione tale che la scienza è impotente e la morte
inevitabile».
La rivelazione riguardante il “veleno istituzionale” è un tipico
esempio di come Taxil costruisse le sue menzogne. In effetti,
l’Acqua della Tofana era realmente esistita: con tale nome
veniva indicato un veleno a base di anidride arseniosa, piombo e
antimonio. Creatrice di questo prodotto fu una certa Giulia
Tofana – o Toffana – cortigiana, fattucchiera e avvelenatrice,
vissuta prima a Palermo e poi a Roma nel XVII secolo. La sua
attività passò in eredità alla figliastra Girolama Spana che,
insieme ad altre quattro compari, fu giustiziata il 5 luglio 1569 a
Campo dei Fiori.
Simili episodi di cronaca criminale erano ben noti e di questi
si appropriò il giornalista francese che, abilissimo a mescolare
invenzione e realtà, creò una leggenda che apparve verosimile ai
più. La notizia fu presa per buona dai giornali cattolici, che per
lungo tempo accreditarono la tesi degli omicidi massonici. Ad
esempio, nel 1894 il settimanale «La Vera Roma» scrisse:
«Mentire, tradire, menare attorno spade, pugnali, veleni per
uccidere […] pascersi di vendette tanto più facili quanto meno
scoperte, ecco i progressi della Massoneria».
Quali sarebbero state secondo Taxil le vittime dei massoni?
La lista è lunghissima; con l’Acqua della Tofana avrebbero
accoppato il conte di Siracusa, il principe di Capua e lo stesso
Cavour.
Un esempio di come agisse questo tossico è offerto da Taxil
anche nella sua versione dello scandalo della succursale
anconetana della Banca d’Italia: il caso, risalente al 1878, aveva
per protagonista il Fratello Baccarini, un ex carbonaro che, per
non finire sulla forca, nel 1849 era andato in esilio. Per dieci
anni agisce in Oriente, dove commette tutti i reati possibili:
provoca il deragliamento di un treno, appicca incendi e si dedica
alla pirateria. Dopo il 1860 torna ad Ancona, sua città natale, e
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