Page 97 - Il giornalino di Gian Burrasca
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Ieri, appena ritornato da scuola, presi in camera mia
                                                     quella lenza che mi ero fabbricato ieri l'altro e andai nella
                                                     stanza del signor Venanzio con l'intenzione di pescare
                                                     nella sua catinella per farlo divertire.
                                                        Disgraziatamente   il   signor   Venanzio   dormiva;   e
                                                     dormiva in un modo curioso, con la testa arrovesciata
                                                     sulla spalliera della poltrona e con la bocca spalancata
                                                     dalla quale gli usciva un rantolino che andava a finire in
                                                     un piccolo fischio...
                                                        Allora   cambiai   idea.   Dietro   alla   poltrona   c'era  una
                                                     tavola,   e   io   montatovi   sopra,   stando   seduto   su   un
                                                     panchettino, mi misi, per ridere, a pescare nella bocca del
                                                     signor Venanzio, tenendo la lenza al disopra della sua
                                                     testa e l'amo sospeso all'altezza della bocca spalancata...
                                                        - Ora quando si sveglia - pensavo - chi sa come rimarrà
                                                     sorpreso!

               Disgraziatamente gli venne a un tratto da starnutire; e nello starnuto, avendo egli chinata la testa,
            l'amo andò a posarglisi sulla lingua e, avendo poi richiusa la bocca, gli restò dentro, mentre io senza
            accorgermene, per un semplice istinto di pescatore, detti una stratta alla lenza tirando in su...
               Si udì un grido acutissimo, e io vidi, con mia grande meraviglia, attaccato all'amo un dente con
            due barbe!
               Nello stesso tempo il signor Venanzio sputava una boccata di sangue...
               In quel terribile istante, preso da un grande sgomento, gettai la lenza e, sceso con un salto dalla
            tavola, scappai come un pazzo in camera mia.
               Dopo un'oretta è venuto mio cognato, seguito da mia sorella che gli raccomandava: - Riportalo a
            casa magari subito, ma non lo picchiare!
               - Picchiarlo? Se mi ci mettessi dovrei ammazzarlo! - rispondeva il Maralli. - No, no; ma voglio
            che sappia almeno quel che mi costa l'averlo tenuto una settimana in casa mia! -
               Quando mi fu dinanzi mi guardò ben bene in faccia e poi disse lentamente con una calma che mi
            faceva più paura che se avesse urlato come tante altre volte :
               - Sai? Ora son convinto anche io che tu anderai a finire in galera... e t'avverto che io non sarò
            certo il tuo avvocato difensore... Io, vedi, ho conosciuto molta canaglia: ma tu hai nelle tue
            intraprese di delinquente delle risorse misteriose, ignorate a tutti gli altri... Per esempio, come avrai
            fatto a fare un taglio alla lingua di mio zio Venanzio e a portargli via un dente che è stato trovato
            attaccato a uno spillo ricurvo legato a un filo di refe? E perché hai fatto questo? Chi lo sa! Ma
            quello che devi sapere è che mio zio vuole assolutamente andar via da casa mia, dove dice di non
            sentirsi sicuro, e che così, per causa tua, io vado a rischio di perder una vistosa eredità della quale,
            senza di te, potevo dirmi sicuro. -
               Il   Maralli   s'è   asciugato   il   sudore,   mordendosi   al   tempo   stesso   le   labbra;   poi   ha   ripreso
            lentamente :
               - Tu mi hai dunque rovinato come uomo; ma aspetta, ché c'è dell’altro! E quest'altro, purtroppo,
            l'ho scoperto in tribunale, al processo, che è andato tutto a rotoli e che ha segnato la mia rovina nella
            mia professione e nella mia carriera politica. Tu parlasti quattro o cinque giorni fa con un contadino
            chiamato Gosto grullo?
               - Sì - confessai io.
               - E che gli dicesti? -
               A questo punto mi parve che la constatazione di una buona azione compiuta dovesse compensare
            il fallo rimproveratomi precedentemente e risposi con accento trionfale:
               - Gli dissi che in tribunale doveva dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità, come ho
            visto scritto nel cartello che è sulla testa del presidente.
               - Sicuro! E infatti l'ha detta! Egli ha raccontato che gli imputati avevan tirato dei sassi ai soldati e
            gli imputati sono stati condannati. Hai capito?... E gli hai fatti condannar te! E io che ero avvocato
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