Page 102 - Il giornalino di Gian Burrasca
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Io naturalmente seguitai a dire che non sapevo niente e che non avrei detto
                                 niente mai, anche se mi avessero tenuto in prigione per una settimana, che
                                 dopo tutto era meglio stare a pane e acqua che essere obbligati a mangiar la
                                 minestra di riso due volte al giorno...
                                    La direttrice se ne andò tutta invelenita dicendomi con voce drammatica:
                                    - Vuoi essere trattato con tutto il rigore? Tal sia di te! -
                                    Rimasto solo daccapo, mi sdraiai sul lettuccio che era in un canto della
                                 prigione e non tardai ad addormentarmi perché era già tardi e io ero stanco da
                                 tante emozioni.
                                    La mattina dopo, cioè iermattina, mi svegliai di lietissimo umore.
                                    Il mio pensiero, considerando i miei casi, corse ai tempi delle cospirazioni,
                                 quando i patriotti italiani marcivano nelle prigioni piuttosto che dire i nomi dei
                                 congiurati ai tedeschi, e mi sentivo pieno d'allegria, e avrei voluto magari che
                                 la prigione fosse stata più stretta e magari anche umida, e con qualche topo.
                                    Però, in mancanza di topi, c'era qualche ragno, e io mi misi in testa di
                                 ammaestrarne   uno,   come   Silvio   Pellico,   e   mi   misi   all'opera   con   tutto
                                 l'impegno, ma dovetti smettere. Non so se dipenda perché i ragni d'allora
                                 fossero più intelligenti di quelli d'ora o perché i ragni di collegio siano più
                                 zucconi degli altri, ma il fatto è che quel maledetto ragno faceva tutto il
                                 contrario di quel che gli dicevo dì fare, e mi fece tanto arabbiare che da ultimo
                                 lo schiacciai con un piede.
                                    Allora mi venne in mente che, se avessi potuto chiamare dalla finestra
                                 qualche passerotto, sarebbe stato molto più facile di ammaestrarlo; ma la
                                 finestra era così alta!...
               Non so che cosa avrei dato per potere arrampicarmi su quella finestrino; e a furia di pensarci mi
            era venuto come una frenesia e non potevo più star fermo, né mi riusciva di levarmi dal cervello
            quell'idea...
               Cominciai dal trascinare il lettuccio sotto la finestra per diminuirne la distanza; poi presi un
            pezzo di corda che avevo in tasca, levai la cinghia dei calzoni e l’aggiunsi a quella... Ma con tutt'e
            due si arrivava appena alla metà dell'altezza cui era posta la finestra. Allora mi cavai la camicia, la
            strappai a strisce, che attorcigliai a uso fune e che aggiunsi alla corda che avevo già; ne venne una
            corda assai lunga che lanciai mirando alla finestra. Ora ci arrivava, ma occorreva una lunghezza
            maggiore per farne ritornar giù una parte dopo averla fatta passare sulla sbarra che era nel mezzo
            alla finestra. Mi cavai anche le mutande delle quali feci altre strisce che aggiunsi alle altre. Cosi
            ottenni una corda sufficiente a tentare la scalata che mi ero prefisso di dare alla finestra.
               Da un capo di essa attaccai una scarpa; e incominciai i miei esercizi di tiro a segno lanciando con
            la destra la scarpa contro la barra di ferro e tenendo nella sinistra l'altro capo della corda.
               Quanti vani tentativi! Non avevo orologio per calcolare quanto tempo occupassi in questo lavoro,
            ma potevo giudicarne la durata dal sudore che mi bagnava tutto per la fatica.
               Finalmente mi riuscì di fare in modo che la scarpa lanciata al disopra della sbarra girasse al di
            sotto, ritornando dentro la stanza; e dopo, piano piano, a forza di piccole e prudenti scosse date con
            la parte di corda che avevo in mano mi riuscì di far calare giù l'altro capo tanto da arrivare ad
            acchiapparlo.
               Che felicità! Su quella doppia corda mi arrampicai su fino alla finestra, dove mi riescì di
            accoccolarmi, alla meglio, e salutai il cielo che mai mi era parso così limpido e così bello come in
            quel momento.
               Ma oltre alla bellezza del cielo che scorgevo al disopra di me mi commosse l'animo un grato
            odorino di soffritto che veniva dal di sotto... La finestrina, infatti, dava sul cortiletto della cucina in
            un angolo del quale era una enorme caldaia piena d'acqua bollente.
               Allora mi ricordai che era venerdì, il giorno sacro alla famosa minestra di magro che in mezzo a
            tutte le minestre di riso della settimana veniva ad allietare i nostri stomachi, a quella eccellente
            minestra di magro così saporita e che pareva riunire in sé le fragranze più care dell'umano palato...
               Mi sentivo venir l'acquolina in bocca e una grande malinconia mi scendeva giù nella desolata
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