Page 68 - Il giornalino di Gian Burrasca
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Cecchino a un tratto lasciò il manubrio e si abbandonò sul sedile, bianco come un cencio lavato.
               Dio mio, che momento!
               Solamente a ripensarci, mi sento rizzare i capelli sulla testa.
               Fortunatamente la strada era larga e diritta, e io vedevo come in sogno sfuggirmi dinanzi agli
            occhi la campagna intorno. Di questa visione mi è rimasta un'impressione così viva, che posso qui
            riprodurla come in una istantanea.




































               Ricordo benissimo che un contadino che badava ai buoi, vedendoci passare come una saetta, urlò
            con una voce formidabile che arrivò a coprire il rumore dell'automobile:
               - L'osso del collo!... -
               Il mal augurio si avverò anche troppo presto, e se non ci si ruppe proprio l'osso del collo, andaron
            rotte altre ossa non meno utili. Io ricordo appena che a un certo punto vidi dinanzi a me sorgere a un
            tratto dalla terra come un grande fantasma bianco che si riversasse sull'automobile... e poi più nulla.
               Dopo ho saputo che a una svoltata della strada eravamo andati contro una casa, che la violenza
            dell'urto era stata tale, che io e Cecchino avevamo fatto un volo per aria di una trentina di metri e
            che nella disgrazia avevamo avuto la fortuna di cascare dentro una macchia che ci servì come di una
            molla, attutendo il colpo della caduta, in modo che non fu - come poteva essere - mortale.
               Dice che dopo mezz'ora del disastro arrivò lo scioffèr del Bellucci con un'altra automobile, che
            era corso a prendere a nolo appena si era accorto della nostra fuga, e ci trasportò tutti e due
            all'ospedale dove a Cecchino ingessarono la gamba destra e a me il braccio sinistro.
               Io non mi potevo muovere, e dovettero accompagnarmi a casa in lettiga.
               Certo è stato un brutto azzardo, e i miei poveri genitori e Ada hanno provato un gran dispiacere;
            ma però è stata anche una bella soddisfazione per me il raccontare a tutti quelli che son venuti a
            farmi visita questa mia avventura: descrivendo la nostra corsa vertiginosa che faceva ripetere a
            ciascuno:
               - È stata una vera e propria corsa alla morte, come quella di Parigi!
               E oltre a questo, ho la soddisfazione di aver vinto a quello sballone di Cecchino Bellucci dieci
            pennini nuovi e un lapis rosso e turchino che, appena saremo guariti, mi dovrà dare, se non vuole
            che gli dia quella famosa lezione che deve avere per i suoi bum contro mio cognato!



               24 dicembre.
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