Page 67 - Il giornalino di Gian Burrasca
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il manubrio e via di gran corsa...
Non importa. Gliele darò domani!
23 dicembre.
È quasi una settimana che non scrivo in questo mio caro giornalino.
Sfido! Come avrei potuto farlo con la clavicola spostata e il braccio sinistro ingessato?
Ma oggi finalmente il dottore mi ha tolto l'apparecchio, e alla meglio posso descrivere qui, dove
confido tutti i miei pensieri e tutti i casi della mia vita, la tremenda avventura che mi successe il 18
dicembre - data memorabile per me perché fu un vero miracolo che non segnasse l'ultimo giorno
della mia vita.
Quella mattina, dunque, appena Cecchino Bellucci venne a sedermi accanto in scuola, lo trattai
di vigliacco perché era scappato in automobile per paura della lezione che gli avevo promesso.
Lui allora mi spiegò che in questi giorni essendo i suoi genitori a Napoli per la malattia di suo
nonno, che sarebbe il babbo della sua mamma, era stato accolto in casa del suo zio Gaspero il quale
lo mandava a prendere a scuola tutti i giorni con l'automobile per lo scioffèr, e che perciò non
poteva trovarsi a solo a solo con me, almeno per un certo tempo.
Dietro queste spiegazioni mi calmai, e ci mettemmo a discorrere dell'automobile che è una cosa
che mi interessa assai; e il Bellucci mi spiegò tutto il meccanismo, dicendomi che lui lo conosce
benissimo e ci sa andare anche solo e ci è andato più d'una volta, perché basta saper girare il
manubrio e stare attenti alle voltate, anche un ragazzo lo sa manovrare.
Io veramente ci credevo poco, perché mi pareva impossibile che lasciassero l'automobile nelle
mani a un ragazzetto come Cecchino Bellucci. E siccome glielo dissi, lui per punto d'impegno mi
propose una scommessa.
- Senti, - mi disse - lo scioffèr oggi deve fermarsi alla Banca d'Italia per sbrigare una
commissione che gli ha dato lo zio Gaspero, e io rimarrò solo sull'automobile. Tu cerca il modo di
uscir prima dalla scuola, e fatti trovare sul portone della Banca; mentre lo scioffèr si tratterrà dentro
tu monterai sull'automobile e io ti farò fare un giretto intorno alla piazza, e così vedrai se son capace
o no. Va bene?
- Benone! -
E si scommise dieci pennini nuovi e un lapis rosso e turchino.
Detto fatto, una mezz'oretta prima dell'uscita cominciai a dimenarmi sulla panca, finché il
professor Muscolo mi disse:
- Tutti fermi! Che cos'ha lo Stoppani che si divincola come un serpente? Tutti zitti!
- Mi dòle il corpo, - risposi. - Non ne posso più...
- Allora vada a casa... tanto c'è poco all'uscita. -
E io, come s'era stabilito con Cecchino, uscii e andai difilato alla Banca d'Italia, dove aspettai
fuori del portone.
Poco dopo eccoti l'automobile del Bellucci. Lo scioffèr discese, e quando fu entrato nella Banca,
a un cenno di Cecchino, montai su e mi misi a sedere accanto a lui.
- Ora vedrai se so mandarla anche da me, - mi disse. – Tieni intanto la tromba, e suona... -
Sì chinò dicendo:
- Vedi? Per andare, basta girar questo... -
E girò il manubrio.
L'automobile fece: putupum! due o tre volte, e via di gran carriera.
Io lì per lì mi divertii molto e mi misi a sonar la tromba a tutt'andare ed era un ridere a veder tutta
la gente sgambettar di qua e di là per scansarsi, guardandoci spaventata.
Ma fu un attimo; capii subito che Cecchino non sapeva regolar l'automobile in nessuna maniera,
né frenarla, né fermarla.
- Suona, suona! - mi diceva, come se il sonare la tromba potesse influire sul meccanismo.
Si usci dalla città come una palla di schioppo, e via per la campagna con una velocità vertiginosa,
tanto che non si respirava.