Page 25 - Il giornalino di Gian Burrasca
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Da una parte, a piè di una scala, c'eran due pentoli pieni di tinta a
            olio - in uno la tinta rossa e nell’altro la tinta verde; e c'era anche un
            bel pennellone grosso come il mio pugno. Angiolino ha preso un
            pentolo; io ho preso l'altro e il pennello, e via, siamo ritornati
            sull'aia  di  casa  sua,   dove  Pietrino   e  la  Geppina  ci  aspettavano
            ansiosi.
               - Cominceremo dal fare il leone, - ho detto.
               A questo scopo avevo portato con me dalla villa, Bianchino, il
            vecchio   can   barbone   della   zia   Bettina,   al   quale   ella   è   così
            affezionata. Gli ho attaccato al collare una fune e l'ho legato alla
            stanga   del   carro   da   buoi   che   era   sull'aia,   e,   dato   di   piglio   al
            pennellone, ho incominciato a tingerlo tutto di rosso.
               - Veramente - ho detto a quei ragazzi perché avessero un'idea
            precisa dell'animale che volevo loro rappresentare - il leone è colore
            arancione, ma siccome manca il giallo noi lo faremo rosso, che in
            fondo viene a esser quasi lo stesso. -
               In poco tempo Bianchino, interamente trasformato, non era più
            riconoscibile e, mentre esso si andava asciugando al sole, ho pensato
            a preparare un'altra belva.
               Poco distante da noi c'era una pecorella che pascolava; l'ho legata
            alla stanga del carro, accanto al cane, e ho detto:
               - Questa la trasformeremo in una bellissima tigre. -
               E dopo aver mescolate in una catinella un po' di tinta rossa e un
            po' di tinta verde le ho dipinto sul dorso tante ciambelline in modo
            che pareva proprio una
            tigre del Bengala come quella che avevo visto da Numa Hava, meno che, per quanto le avessi tinto
            anche il muso, non aveva quell'espressione feroce che faceva una così bella impressione in quella
            vera.
                                         A questo punto ho sentito un grugnito, e ho domandato ad Angiolino:
                                       - Che ci avete anche un maiale?
                                         -   Sì:   ma   è   un   maialino   piccolo:   è   qui   nella   stalla,   guardi,   sor
                                       Giannino. E ha tirato fuori, infatti, un porcellino grasso grasso, con la
                                       pelle color di rosa che era una bellezza.
                                         - Che se ne potrebbe fare? - ho domandato a me stesso. E Angiolino
                                       ha esclamato :
                                         - Perché non ci fa un leofante?
                                         Io mi son messo a ridere.
                                         - Vorrai dire un elefante! - gli ho risposto. - Ma sai che un elefante è
                                       grande come tutta questa casa? E poi con che gli si potrebbe far la
                                       proboscide?
               - A questa parola i figliuoli del contadino si son messi a ridere tutt'e tre e finalmente Angiolino
            ha domandato:
               - O che è ella, codesta cosa così buffa che ha detto lei, sor Giannino?
               - È, come un naso lungo lungo quasi quanto la stanga di questo carro e che serve all'elefante per
            pigliar la roba per alzare i pesi e per annaffiare i ragazzi quando gli fanno i dispetti. -
               Che brutta cosa è l'ignoranza! Quei villanacci di ragazzi non mi hanno voluto credere, e si son
            messi a ridere più che mai.
               Io intanto riflettevo per trovare il modo di utilizzare il maialino color di rosa che seguitava a
            grugnire come un disperato. Alla fine ho risoluto il problema e ho gridato:
               - Sapete che cosa farò? Io cambierò questo maialino in un coccodrillo! -
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