Page 21 - Il giornalino di Gian Burrasca
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Ma siccome mi sentivo male, mi contentai di dire:
               - Almeno, giacché il viaggiare nelle garette costa così caro,
            procurino che ci sieno i finestrini col vetro! -
               Non l'avessi mai detto! Il capostazione mandò subito un
            facchino a verificare la garetta dove avevo viaggiato e, saputo
            che non c'era il vetro, mi fece aumentare la contravvenzione di
            ottanta centesimi come se l'avessi rotto io! Mi accorsi una
            volta di più che il mio babbo aveva ragione a dir corna del
            servizio   ferroviario,   e   non   dissi   altro   per   paura   che   mi
            avessero a mettere nel conto anche il ritardo del treno, e
            magari qualche guasto della locomotiva.
               Così, accompagnato dall'impiegato, mi avviai verso la villa
            Elisabetta, e non vi so dire come rimase la zia Bettina quando
            si vide capitar dinanzi uno straccione così sudicio com'ero io
            e, peggio ancora, un conto da pagare di sedici lire e venti, e
            più la mancia all'impiegato che glielo portava!
               - Che è accaduto, mio Dio?... - ha gridato appena ha potuto
            capire dalla voce che ero io.
               - Senti, zia Bettina, - le ho detto - a te, lo sai, dico sempre
            la verità...
               - Bravo! Dimmi dunque...
               - Ecco: sono scappato di casa.
               - Scappato di casa? Come! Hai abbandonato il tuo babbo,
            la tua mamma, le tue sor... -
               Ma si è interrotta all'improvviso, come se le fosse venuto male. Certo si ricordava in quel
            momento che le mie sorelle non l'avevano voluta alla festa.
               - È naturale! - ha soggiunto. - Quelle ragazze farebbero perder la pazienza a un Santo!... Vieni in
            casa, figliolo mio, a lavarti, che mi sembri un bracino; poi mi racconterai tutto... -
               Intanto io guardavo  Bianchino, il vecchio Barboncino che è così caro alla zia Bettina, e alla
            finestra della villa il vaso di dìttamo al quale ella è così pure affezionata. Nulla è cambiato
            dall'ultima volta che ci venni, e mi pare di non essermi mai mosso di qui.
               Quando mi fui lavato, la zia Bettina si accòrse che avevo
            un po' di febbre e mi mise a letto, benché io tentassi di
            persuaderla che era tutta questione d'appetito.
               La zia Bettina mi fece alcuni rimproveri a mezza bocca, ma
            in fondo mi disse che stessi pur tranquillo, che da lei non
            correvo nessun pericolo; e io fui così commosso dalla sua
            bontà, che volli farle assaggiare un pezzetto di torrone che
            avevo in tasca dei calzoni, e la pregai di prenderlo, ché così ne
            avrei mangiato un po' anch'io.
               Difatti la zia Bettina fece per metter la mano in tasca, ma
            non fu capace di aprirla.
               - Ma qui c'è la colla! - disse.
               Che   era   successo?   Il   torrone,   col   calore   del   fumo
            rinserratosi   nella   garetta,   si   era   tutto   strutto   e   aveva
            appiccicato la tasca dei calzoni per modo che non era più
            possibile di aprirla.
               Basta:   la   zia   mi   fece   compagnia,   finché,   alla   fine,   la
            stanchezza non mi fece prender sonno... e da allora mi sono
            svegliato in questo momento, e il primo mio pensiero è stato
            per te, giornalino mio, che mi hai seguìto sempre, mio fido
            compagno, a traverso a tanti dispiaceri, a tante avventure e a
            tanti pericoli...
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