Page 18 - Il giornalino di Gian Burrasca
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occupata dall'impronta di una, mano sudicia di carbone, sopra alla quale è, a caratteri grossi e
incerti come se fosse stata scritta con un pezzo di brace, una frase interrotta da un fregaccio.
Riproduciamo fedelmente anche questo documento, che è di non lieve importanza nelle memorie
del nostro Giannino Stoppani.
17 ottobre.
La zia Bettina non s'è ancora alzata, e io approfitto di questo momento per registrare qui
l'avventura accadutami ieri, e che meriterebbe proprio di esser descritta dalla penna di un Salgari.
Iermattina, dunque, mentre tutti dormivano, fuggii da casa come avevo stabilito, dirigendomi verso
la stazione.
Io avevo già disegnato nella mente il modo di effettuare il mio progetto che era quello di recarmi
a casa della zia Bettina. Non avendo quattrini per prendere il treno e non conoscendo la strada
provinciale per andarvi, mi proponevo di entrare nella stazione, aspettare il treno col quale ero
andato l'altra volta dalla zia Bettina, e dirigermi per la stessa strada, lungo la ferrovia, seguendo le
rotaie, fino al paese presso il quale è la villa Elisabetta dove sta appunto la zia. Così non c'era
pericolo di sbagliare, e io, ricordandomi che ad andarci col treno ci si mette tre ore o poco più, mi
proponevo di arrivarci prima di sera.
Giunto dunque alla stazione, presi il biglietto d'ingresso ed entrai. Il treno arrivò poco dopo, ed
io, per evitare il caso di esser visto da qualche persona di conoscenza, mi diressi verso gli ultimi
vagoni per attraversare la linea e andare dalla parte opposta alla stazione. Ma invece mi fermai
dinanzi all'ultimo vagone che era un carro per bestiame, vuoto, e che aveva la garetta dove sta il
frenatore, vuota anch'essa.
- Se montassi lassù? -
Fu un lampo. Assicuratomi con un'occhiata che nessuno badava a me, saltai sulla scaletta di
ferro, mi arrampicai su, e mi misi seduto nella garetta, col ferro del freno tra le gambe, e le braccia