Page 17 - Il giornalino di Gian Burrasca
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che le mie povere sorelle avevano quasi le lacrime agli occhi.
               Una cosa molto riuscita, invece, sono stati i rinfreschi; ma, come ho detto prima, io ero molto
            angustiato, sicché non ho potuto assaggiare che tre o quattro bibite, delle quali la migliore era quella
            di marena, benché anche quella di ribes fosse eccellente.
               Mentre stavo passeggiando per la sala, ho sentito Luisa che ha detto piano al dottor Collalto:
               - Dio mio! Se potessi saper chi è stato, come mi vorrei vendicare!... È stato uno scherzo indegno!
            Domani, certo, saremo sulle bocche di tutti, e non ci potrà più soffrire nessuno! Ah, se potessi avere
            almeno la soddisfazione di sapere chi è stato!.. -
               In quel momento il Collalto si è fermato dinanzi a me e, guardandomi fisso, ha detto a mia
            sorella:
               - Forse Giannino te lo potrebbe dire; non è vero, Giannino?
               - Di che? - ho risposto io, facendo finta di nulla. Ma mi sentivo il viso infocato, e poi mi tremava
            la voce.
               - Come di che! O chi ha preso dunque i ritratti dalla camera di Luisa?
               - Ah! - ho risposto io, non sapendo più che cosa dire. -- Forse sarà stato Morino...
               - Come! - ha detto mia sorella fulminandomi con gli occhi. - Il gatto?
               - Già. L'altra settimana gli detti due o tre fotografie perché si divertisse a masticarle e può essere
            che lui le abbia portate fuori e le abbia lasciate per la strada...
               - Ah, dunque le hai prese tu! - ha esclamato Luisa, rossa come la brace e coli gli occhi che le
            uscivano dalla testa.
               Pareva mi volesse mangiare. Ho avuto una paura terribile e perciò, dopo essermi empite le tasche
            di torrone, sono scappato su in camera.
               Assolutamente non voglio essere alzato quando gl'invitati se ne anderanno via. Ora mi spoglio e
            vo a letto.



               16 ottobre.

               È appena giorno.
               Ho preso una grande risoluzione e, prima di metterla in effetto, voglio confidarla qui nelle pagine
            di questo mio giornalino di memorie, dove registro le mie gioie e i miei dispiaceri che sono tanti,
            benché io sia un bambino di nove anni.
               Stanotte, finita la festa, ho sentito un gran bisbigliare all'uscio di camera mia, ma io ho fatto finta
            di dormire e non hanno avuto il coraggio di svegliarmi: ma stamani, quando si alzeranno, mi
            toccheranno certamente delle altre frustate, mentre non mi è ancora cessato il dolore di quell'altre
            che ebbi l'altro giorno dal babbo.
               Con questo pensiero, non ho potuto chiudere un occhio in tutta la notte.
               Non c'è altro scampo, per me, che quello di scappar di casa prima che i miei genitori e le mie
            sorelle si sveglino. Così impareranno che i ragazzi si devono correggere ma senza adoprare il
            bastone, perché, come ci insegna la storia dove racconta le crudeltà degli Austriaci contro i nostri
            più grandi patriotti quando cospiravano per la libertà, il bastone può straziare la carne ma non può
            cancellare l'idea.
               Perciò mi è venuto l'idea di scappare in campagna, dalla zia Bettina, dove sono stato un'altra
            volta. Il treno parte alle sei, e di qui alla stazione in mezz'ora ci si va benissimo.


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               Sono bell'e pronto per la fuga: ho fatto un involto mettendovi due paia di calze e una camicia per
            cambiarmi... In casa tutto è silenzio, ora scenderò piano piano le scale, e via in campagna, all'aria
            aperta...
               Viva la libertà!…

               A questo punto il giornalino di Gian Burrasca ha una pagina sgualcita, e quasi interamente
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