Page 19 - Il giornalino di Gian Burrasca
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appoggiate sul manubrio del freno.

















               Di lì a poco il treno partì e io sentii arrivarmi fin dentro il cervello il fischio della macchina la cui
            groppa nera io vedevo, di lassù, distendersi alla testa di tutti i vagoni che si trascinava dietro, tanto
            più che il vetro del finestrino della garetta da quella parte era stato rotto, e non ve n'era rimasto che
            un pezzetto in un angolo, a punta.
               Meglio! Da quel finestrino, aperto proprio all'altezza
            della mia testa, io dominavo tutto il treno che si slanciava
            a   traverso   la   campagna   che   era   ancora   avvolta   nella
            nebbia. Ero felice, e per festeggiare in qualche modo la
            mia fortuna, cavai di tasca un pezzetto di torrone e mi
            misi a rosicchiarlo.
               Ma la mia felicità durò poco. Il cielo s'era fatto scuro, e
            non tardò a venir giù una pioggia fitta fitta e ad alzarsi un
            vento impetuoso, mentre una scarica terribile di tuoni si
            inseguiva fra l'ombre delle montagne...
               Io non ho paura dei tuoni, tutt'altro; ma mi mettono
            addosso il nervoso, e perciò appena incominciò a tuonare
            mi si presentò alla mente la mia condizione in un quadro
            molto  diverso  da  quello   col  quale  mi  era  apparso   da
            principio.
               Pensavo che in quel treno nel quale viaggiava tanta
            gente ero isolato e ignorato da tutti. Nessuno, né parenti,
            né estranei, sapeva che io era lì, sospeso in aria in mezzo
            a così tremenda tempesta, sfidando così gravi pericoli.
               E pensavo anche che aveva molta ragione il babbo
            quando diceva roba da chiodi del servizio ferroviario e
            delle   condizioni   scandalose   nelle   quali   si   trova   il
            materiale. Io ne avevo lì una prova evidente
               nel finestrino della garetta dal quale, essendo rotto il vetro come ho detto prima, entrava vento e
            pioggia, facendomi gelare la parte destra della faccia che vi si trovava di contro, mentre mi sentivo
            la parte sinistra infocata in modo che mi pareva d'esser mezzo ponce e mezzo sorbetto, e ripensavo
            malinconicamente alla festa da ballo della sera precedente, che era stata la causa di tanti guai.
               E il peggio fu quando incominciarono le gallerie!
               Il fumo lanciato dalla macchina si addensava sotto la volta del tunnel, e dal finestrino rotto
            invadeva la mia angusta garetta, impedendomi il respiro. Mi pareva d'essere in un bagno a vapore,
            dal quale poi, quando il treno usciva dal tunnel, passavo a un tratto al bagno freddo della pioggia.
               In un tunnel più lungo degli altri credetti di morire asfissiato. Il fumo caldo mi, avvolgeva tutto,
            avevo gli occhi che mi bruciavano per la polvere di carbone che entrava col fumo nella garetta e
            che   mi   accecava,   e   per   quanto   mi   facessi   coraggio   sentivo   che   ormai   le   forze   erano   per
            abbandonarmi.
               In quel momento l'animo mio fu vinto da quella cupa disperazione che in certe avventure
            provano anche gli eroi più valorosi come Robinson Crosuè, i Cacciatori di capigliature e tanti altri.
            Ormai per me (così mi pareva) la era finita e volendo che almeno rimanessero, come esempio, le
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