Page 125 - Il giornalino di Gian Burrasca
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Il cuoco si alzò e pallido, camminando a zig-zag come un ubriaco, andò a togliere il segreto alla
porta.
- Spengete il lume e aspettatemi tutti in ginocchio! -
Il cuoco spense il lume e io sentii poi tornare a inginocchiarsi accanto agli altri due.
Il gran momento era giunto.
Lasciai il mio posto d’osservazione e affacciatomi all'ingresso dell'armadietto feci con la gola un
suono come si fa quando si russa.
Immediatamente Gigino Balestra si alzò dal mio letto ov'era ancora disteso e, senza far rumore,
uscì dalla camerata.
Egli andava a dar l'avviso ai compagni della Società segreta che eran tutti pronti per irrompere
nel salone di Pierpaolo Pierpaoli e, armati di cinghie e di battipanni, farne le giuste vendette.
Io mi rivoltai nel mio sgabuzzino e accostai l'orecchio alla tela del ritratto per godermi un po' la
scena.
Sentii aprire l'uscio della sala, richiuderlo col segreto, e poi ad un tratto le grida dei tre spiritisti
sotto i primi colpi.
- Ah! gli spiriti!... Pietà!... Aiuto!... Soccorso!... –
Mi ritirai precipitosamente, e uscito di camerata accesi uno stoppino del quale mi ero provvisto,
andai nella stanzetta dei lumi a petrolio, aprii con la chiave che mi aveva dato il Barozzo, staccai la
grossa chiave che trovai attaccata dietro la porta secondo le istruzioni che mi aveva dato, e corsi al
portone d'ingresso del collegio.
Tito Barozzo era lì. Prese la chiave, aprì il portone, poi si rivolse a me e mi avvinghiò con le
braccia, e mi tenne stretto stretto al suo petto; mi baciò e le nostre lacrime si confusero insieme sui
nostri visi...
Che momento! Mi pareva d'essere in un sogno... e quando ritornai in me io ero solo, appoggiato
al portone dell'Istituto, chiuso.
Tito Barozzo non c'era più.
Girai la mandata e ritirai la chiave dal portone e rifacendo rapidamente la strada già fatta l'andai a
rimettere al suo posto, richiusi l'uscio dello stanzino dei lumi e ritornai in camerata dove mi
affacciai con la massima precauzione, assicurandomi se i miei piccoli colleghi dormivano tutti.
Dormivano infatti. Il solo desto era Gigino Balestra, a sedere sul mio letto, che mi aspettava
inquieto, non sapendo il motivo per il quale ero uscito.
- Siamo tutti ritornati in dormitorio - mormorò. - Ah, che scena!... -
Voleva parlare, ma io gli accennai di stare zitto; salii sul comodino, mi tirai su a sedere
nell'armadietto e feci cenno a Gigino di venir su anche lui. Con molti sforzi si riuscì a ficcarci tutti e
due nel mio osservatorio tra le cui anguste pareti, stavamo distesi, stretti l'uno all'altro come due
sardine di Nantes, con la differenza che non eravamo senza testa come loro, ma anzi avevamo i
nostri visi, anch'essi appiccicati insieme, dentro la finestrina da me aperta sulla gran sala di
Pierpaolo che era nella più completa oscurità.