Page 120 - Il giornalino di Gian Burrasca
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lanciando alla mamma queste parole:
- Vo con i miei compagni, ma tra poco ritorno a casa! -
E se n'andò difilato al negozio, guardando a destra e a sinistra per paura che qualche persona di
conoscenza della sua famiglia avesse a sorprenderlo durante quella manovra.
Aprì la porta scorrevole di ghisa e la tirò su tanto da potere entrare in bottega, e una volta dentro
la richiuse. S'era provvisto in casa di una scatola di cerini e con essi accese una candela che il babbo
teneva sempre vicino alla porta; così trovò il contatore del gas, l'aprì, e accese poi le lampade della
pasticceria; e fatto questo andò ad aprir l'usciolino dietro il negozio che dava in un vicolo poco
frequentato.
Da quell'usciolino incominciarono a entrare i compagni di Gigino, a uno, a due a tre...
- Mi raccomando - badava a ripetere il figlio del pasticcere. - Uno per uno... al più due... Ma non
mi rovinate! -
Ma a questo punto è meglio che lasci la parola allo stesso Gigino Balestra che essendo stato il
protagonista di quella avventura comica e tragica a un tempo, la racconta certamente meglio di quel
che potrei fare io.
- Lì per lì - dice Gigino - mi parve che il numero dei miei compagni fosse molto cresciuto. Il
negozio era addirittura invaso da una vera folla che bisbigliava girando intorno sulle paste e sulle
bottiglie de'rosolii certi occhi che parevan di fuoco. Granchio mi domandò se potevano prendere
una bottiglia di rosolio, tanto per non murare a secco, e avendo acconsentito, me ne versò
gentilmente un bicchiere pieno dicendo che il primo a bere doveva essere il padrone di casa. E io
bevvi e bevvero tutti facendomi dei brindisi e invitandomi e ribere, sicché si dovette stappare
un'altra bottiglia... Intanto anche le paste sparivano e i più vicini a me ne offrivano dicendomi: -
Prendi, senti com'è buona questa, senti com'è squisita quest'altra - proprio come se loro fossero stati
i padroni della pasticceria e io il loro invitato. Che vuoi che ti dica, caro Stoppani? Si arrivò a un
punto che io non capivo più nulla; ero esaltato, mi sentivo addosso un ardore e un entusiasmo che
non avevo provato mai, mi pareva d'essere in un paese fantastico tutto popolato di ragazzi di
marzapane col cervello di crema e il cuore di marmellata uniti da un dolce patto di fratellanza
condita con molto zucchero e rosolio di tutte le qualità... E ormai anche io seguitavo come tutti gli
altri a mangiar paste a quattro ganasce e a vuotar bottiglie e boccette di tutti i colori e di tutti i sapori
volgendo delle occhiate di beatitudine in quel campo aperto alla baldoria nel quale si agitavano
come fantasmi tutti quei ragazzi che ogni tanto urlavano a bocca piena: - Evviva il socialismo!
Evviva il primo maggio! - Io non ti so dire quanto durasse quella grande scena d'ogni dolcezza e
d'ogni letizia... So che a un certo punto la musica cambiò a un tratto e una voce terribile, quella di
mio padre, rimbombò nel negozio gridando: - Ah, razza di cani, ora ve lo dò io il socialismo! - e fu
un diluvio di scapaccioni che piovve da tutte le parti fra le grida e i pianti di tutta quella folla di
ragazzi ubriachi che si accalcava confusamente verso la porticina cercando di fuggire. Io ebbi un
momento di lucido intervallo nel quale, con un volger d'occhi, abbracciai quel quadro bizzarro e
sentii in un lampo tutta la terribile responsabilità che mi pesava... Il banco prima cosparso di
centinaia di paste tutte messe per ordine era vuoto, gli scaffali attorno erano tutti in disordine e vi si
affacciavano qua e là i colli di bottiglie rovesciate dalle quali colavano giù rosoli e sciroppi, in terra
era un piaccichiccio di pasta sfoglia pesticciata, dovunque sulle sedie, nelle cornici degli scaffali e
del banco eran bioccoli di crema e di panna sbuzzata fuori dalle meringhe, e ditate di cioccolata...
Ma fu solo, come ho detto, in un lampo ch'io intravidi tutto questo, perché un maledetto scapaccione
mi fece rotolar sotto il banco e non vidi né sentii più nulla. Quando mi svegliai ero a casa, nel mio
letto, e accanto a me c'era la mia mamma che piangeva. Mi sentivo un gran peso nella testa e sullo
stomaco... Il giorno dopo, 2 maggio, il babbo mi dette due once d'olio di ricino; la mattina di poi, tre
maggio, mi fece vestire e mi portò qui nel collegio Pierpaoli... -
Cosi Gigino Balestra ha concluso il suo racconto, con un accento comicamente solenne che mi ha
fatto proprio ridere.
- Vedi? - gli ho detto. - Anche tu sei vittima, com'è accaduto a me in più circostanze della vita,
della tua buona fede e della tua sincerità. Tu avendo il babbo socialista hai creduto nel tuo
entusiasmo di dover mettere in pratica le sue teorie distribuendo i pasticcini a que' poveri ragazzi
che non ne avevan mai assaggiati, e il tuo babbo ti ha punito... È inutile: il vero torto di noi ragazzi è