Page 119 - Il giornalino di Gian Burrasca
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- Oggi è la festa del lavoro - gli aveva detto il signor Balestra - e io ti dò il permesso di andare
            fuor di porta con i tuoi compagni. Sta' allegro e abbi giudizio. -
               Gigino non aveva inteso a sordo: e con alcuni suoi amici era andato a fare una visita a certi
            compagni che stavano in campagna.
               Arrivati sul posto, tutti insieme si misero a fare il chiasso e, via via, il numero della comitiva era
            andato aumentando, tanto che da ultimo erano non meno di una ventina di ragazzi di tutte le età e di
            tutte le condizioni sociali, tutti affratellati in una grande baldoria d'urli e di canti.
               A un certo punto Gigino che si dava una cert'aria per essere il figlio di uno dei capi del partito
            socialista, entrò a parlare del primo maggio, della giustizia sociale e di altre cose delle quali aveva
            sentito parlare spesso in casa e che aveva imparato a ripetere pappagallescamente: ma ad un tratto
            uno della comitiva, un ragazzaccio tutto strappucchiato gli rivolse a bruciapelo questa inopportuna
            domanda:
               - Tutti bei discorsi; ma che è giusta, ecco, che tu abbia una bottega piena di paste e di pasticcini a
            tua disposizione, mentre noi poveri non si sa neppure di che sapore le sieno? -
               Gigino a questa inaspettata osservazione rimase male. Ci pensò un poco e rispose:
               - Ma la bottega non è mica mia: è del mio babbo!...
               - E che vuol dire? - ribatté il ragazzaccio. - Non è socialista anche il tuo babbo? Dunque, oggi
            che è la festa del socialismo dovrebbe distribuire almeno una pasta a testa a tutti i ragazzi,
            specialmente a quelli che non ne hanno mai assaggiate... Se non comincia lui a dare il buon esempio
            non si può pretendere certo che lo facciano i pasticcieri retrogradi!... -
               Questo tendenzioso ragionamento ebbe la virtù di convincere l'assemblea e tutta la comitiva si
            mise a urlare:
               - Ha ragione Granchio! (Era questo il soprannome del ragazzaccio tutto strappato) Evviva
            Granchio!... -
               Gigino, naturalmente, era mortificato perché gli pareva, di fronte, a tutti quei ragazzi, di farei una
            cattiva figura, e non solo lui ma anche il suo babbo; sicché si struggeva dentro di trovar qualche
            ragione colla quale ribattere il suo avversario, quando gli venne una idea che da principio lo
            spaventò quasi per la sua arditezza, ma che gli apparve poi di possibile esecuzione e l'unica che
            avesse la virtù in quel frangente di salvare la reputazione politica e sociale sua e di suo padre.
               Aveva pensato che in quel momento il suo babbo era alla Camera del Lavoro a fare un discorso,
            e che le chiavi di bottega erano in casa, nella sua camera, dentro il cassetto del comodino.
               - Ebbene! - gridò. - A nome mio e di mio padre vi invito tutti nel nostro negozio ad assaggiare le
            nostre specialità... Ma intendiamoci, eh, ragazzi! Una pasta a testa! -
               L'umore dell'assemblea si mutò come per incanto e un solo grido echeggiò, alto, entusiastico,
            ripetuto da tutte quelle bocche in ciascuna delle quali serpeggiava la medesima acquolina tentatrice.
               - Evviva Gigino Balestra! Evviva il suo babbo! -
               E tutti quanti mossero dietro di lui, compatti con l'ardore e la velocità di un eroico drappello alla
            conquista di una posizione lungamente vagheggiata o il cui possesso si presenti a un tratto privo dì
            ogni ostacolo.
               - Sono una ventina fra tutti - pensava intanto Gigino - e per una ventina di paste... mettiamo pure
            una venticinquina... dall'esserci al non esserci, in bottega dove ce ne sono a centinaia, nessuno se ne
            può accorgere... In verità non varrebbe la pena che per una simile miseria compromettessi il mio
            prestigio, quello di mio padre e perfin quello del partito al quale apparteniamo! -
               Arrivati in città Gigino disse ai suoi fedeli seguaci:
               - Sentite: ora vo a casa a pigliar le chiavi di bottega... fo in un lampo. Voialtri intanto venite
            dall'usciolino di dietro... ma alla spicciolata, per non dar nell'occhio!
               - Bene! - gridarono tutti.
               Ma Granchio osservò:
               - Ohé!... Non ci farai mica la burletta, eh? Se no, capisci?... -
               Gigino ebbe un gesto di grande dignità:
               - Sono Gigino Balestra! - disse - e quando ho dato una parola si può esser sicuri! -
               Andò lesto lesto a casa, dove c'era la sua mamma e una sua sorellina; senza farsi vedere sgusciò
            in camera del babbo, prese dal cassetto del comodino le chiavi di bottega e ritornò via di corsa
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