Page 28 - Breve storia della musica
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grande vena melodica (La Sonnambula, Norma, I Puritani);

                abile nella parte strumentale, capace di muoversi tra il dramma,
                la passione amorosa (Lucia di Lammermoor, La Favorita) e la

                commedia (L’elixir d’amore, Don Pasquale) il secondo.


                Il culmine del melodramma italiano è nell’opera di Giuseppe
                Verdi (1813-1901), dotato di un grande senso del teatro,

                consapevole dei propri mezzi, portavoce degli ideali del
                Risorgimento. La cosiddetta “trilogia popolare” (Rigoletto,

                Trovatore, Traviata), tre opere composte nell’arco di breve
                tempo e rappresentate per la prima volta fra il 1851 e i 1853, è il

                primo punto d’approdo di una ricerca di continuità drammatica
                anche nella struttura tradizionale divisa in “numeri” staccati

                (arie, duetti, concertati, recitativi) e di una caratterizzazione
                psicologica più fine dei personaggi. L’approfondimento del

                senso teatrale raggiunge il massimo con le tre opere dell’ultima
                maturità, intervallate da lunghi periodi di silenzio: Aida (1871),

                Otello (1887), Falstaff (1893).


                Il melodramma italiano non è più, però, il protagonista
                incontrastato sulle scene di tutta Europa: se in Francia prevale il

                Grand-opéra, grandioso, sfarzoso, con balletti, cori, molti
                cambi di scena, e che ha in Giacomo Meyerbeer (1791-1864)

                l’autore più significativo, la grande innovazione viene dalla
                Germania, con Richard Wagner (1813-1883). Erede del

                Romanticismo musicale, come dimostrano i suoi soggetti,
                cercati spesso nella mitologia nordica, Wagner vuole realizzare

                una “opera d’arte totale”, in cui parola, suono e azione
                drammatica diventino una cosa sola. Nelle sue opere la struttura

                a “numeri” scompare e tutta l’azione tende a fluire con
                continuità, con l’orchestra che non ha più funzione di semplice
                accompagnamento o riempitivo, ma entra con forza da

                protagonista. Anche sul piano strettamente musicale, il flusso
                tende a non arrestarsi: quando una frase sembra sul punto di

                concludersi, una sottile trasformazione la riapre, generando




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