Page 91 - Storia della Russia
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molto  lontana  dai  desideri  dei  contadini  e  dalla  realtà  stessa.  Quando  Caterina  II  in
        persona, con le migliori intenzioni, cercò di riorganizzare le proprietà terriere dei contadini
        adottando criteri razionali, incontrò una violenta resistenza (che prontamente neutralizzò
        con la forza e la deportazione). Inoltre, era difficile per funzionari e padroni sapere cosa
        accadeva  di  preciso  nel  villaggio  basandosi  esclusivamente  sui  documenti:  i  contadini
        dicevano  la  verità  agli  estranei  solo  quando  conveniva  loro,  la  burocrazia  scritta  si
        scontrava con la cultura orale, e l’autarchia dei contadini, in un’economia di mercato non
        ancora  pienamente  sviluppata,  resisteva  ai  tentativi  esterni  di  misurare  e  controllare  la
        produzione.

           Questo sistema di rapporti si realizzò in Russia con il nuovo governo cameralista di
        Pietro  I.  Se  in  precedenza  i  tentativi  di  influenzare  la  cultura  contadina  e  i  metodi  di
        produzione erano stati esigui, d’ora in avanti i governanti si assunsero la responsabilità,
        arrogandosene il diritto, di dirigere gli affari dei sudditi secondo le proprie idee e senza

        consultare gli interessati. Così in buona parte fallirono sia nel trovare un accordo con le
        comunità contadine sia nel raggiungere i loro scopi primari. All’inizio ciò era in linea con
        le  relazioni  sociali  vigenti  e  non  ebbe  serie  conseguenze:  il  governo  del  XVIII  secolo
        aveva  nelle  campagne  un  raggio  d’azione  ancora  relativamente  limitato,  e  Pietro  si
        interessava  soprattutto  di  commercio  e  industria;  l’agricoltura  divenne  una  questione
        politica di moda solo dopo il 1750. Questo stato di cose segnò tuttavia un precedente, un
        esempio  per  tutte  le  successive  iniziative  statali  nelle  questioni  rurali,  fino  alla  fine
        dell’epoca  sovietica.  Dal  1929  il  rifiuto  sovietico  di  trattare  e  comprendere  la  società
        contadina in termini diversi da quelli di una rigida visione stalinista portò ai disastri della
        collettivizzazione, della dekulakizzazione e della carestia di massa, e contribuì al terrore e
        all’affanno  permanenti  dell’agricoltura  sovietica.  Questo  atteggiamento,  che  ebbe  più
        ampie  conseguenze  nell’integrazione  e  nelle  relazioni  sociali  in  tutto  il  periodo

        rivoluzionario,  sottolinea  un  dilemma  fondamentale  e  duraturo  che  ha  inciso
        profondamente  su  tutta  la  storia  della  Russia  moderna  fino  al  giorno  d’oggi:
        l’impossibilità  di  integrazione  tra  città  e  campagna.  Tuttavia,  nei  decenni  governati  da
        Pietro, e in quelli immediatamente successivi, la servitù della gleba, con tutti i suoi difetti,
        rappresentò  per  lo  stato  un  utile  strumento  che  ne  sostenne  e  accrebbe  le  capacità  di
        mobilitazione  e  organizzazione  delle  risorse,  garantendogli  una  certa  competitività  nel
        mondo contemporaneo. Gli svantaggi strutturali di una società non libera non minarono
        per  il  momento  il  potere  statale:  l’impero  russo,  fondato  sulla  servitù  della  gleba,  si
        arricchì internamente e si rafforzò a livello internazionale.
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