Page 96 - Storia della Russia
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La corona e la nobiltà
Nel 1763, grazie alle riforme di Pietro il Grande, la Russia disponeva ormai di un gran
numero di funzionari nati e istruiti in patria. Pietro aveva legato a doppio filo la nobiltà
recente al nuovo e oneroso sistema di servizio, da cui dipendeva la vita stessa dell’élite.
Dal regno di Ivan IV il servizio militare era sempre stato universale, ma occasionale: i
servitori accorrevano quando erano chiamati a partecipare alla guerra, che in genere
consisteva in una serie di brevi campagne estive. Ora invece il servizio era diventato a
tempo pieno, permanente, e le carriere erano definite in base alla tabella dei ranghi,
un’innovazione che durò fino al 1917. All’epoca imperiale il prestigio dipendeva ancora
dal lignaggio, ma anche, in misura persino maggiore, dal rango stabilito dalla tabella.
Questa era composta da tre colonne (forze armate, servitori civili e corte), ognuna delle
quali elencava quattordici ranghi paralleli, nei quali erano inseriti tutti gli impieghi statali.
La tabella, inoltre, legava in modo indissolubile nobiltà e servizio: bastava arrivare
sufficientemente in alto per ottenere automaticamente un titolo nobiliare. Il grado militare
più basso (portabandiera), conferiva l’ultimo rango, il quattordicesimo, nella tabella e
garantiva titolo nobiliare a chi non lo aveva; l’equivalente nella scala civile era l’ottavo
rango: assessore di collegio. La carica di generale rientrava in uno dei quattro ranghi più
alti, riservati tra i civili solo al cancelliere (capo degli affari esteri) e ai consiglieri privati
del sovrano. Le promozioni dipendevano dal merito e dall’anzianità di servizio, ma la
prima nomina della tabella riconosceva apertamente i diritti di nascita. Poiché lo stato
creato da Pietro necessitava di una grande quantità di funzionari per l’esercito e
l’amministrazione, la via del servizio era aperta anche ai non nobili. Gli aristocratici
restavano tuttavia avvantaggiati e nei decenni che seguirono il 1722 i ranghi più alti
furono prerogativa dei discendenti delle antiche famiglie moscovite.
Con la morte di Pietro il rigore del sistema si allentò immediatamente. Nel 1725, dopo
l’ultima guerra contro la Persia (1723-1724), la Russia era in pace, ma il paese era ormai
stremato. Il governo si dimostrò subito attento alla difficile situazione dei contadini
contribuenti e al bisogno dei funzionari di avere a disposizione un po’ di tempo libero per
occuparsi dei propri affari privati: fu introdotto rapidamente un sistema di licenze,
segnando l’inizio di una graduale e costante diminuzione del peso del servizio nobiliare.
Oltre ad abolire la legge sull’eredità del 1714 e a unificare i diritti di votčina e quelli di
pomest’e, Anna limitò a venticinque anni il servizio dei nobili. In che modo l’élite dovesse
prestare servizio rimase tuttavia questione rilevante per tutta la prima metà del secolo: con
l’alleggerirsi del sistema e il prosperare dell’economia, i nobili cominciarono a dedicarsi
sempre più ad altre attività. Inoltre, l’urgenza che aveva spinto Pietro a mobilitare ogni
uomo disponibile non era più attuale: il paese aveva ormai un numero sufficiente di
ufficiali e funzionari civili. Siccome sotto Elisabetta rifiutarsi di servire era pratica illegale
ma molto diffusa, si affrontò il problema riunendo fra il 1754 e il 1766 una Commissione
legislativa che ricodificasse la legge statale. La bozza elaborata dalla Commissione
includeva la proposta di cancellare il servizio obbligatorio; ma essa non fu mai
promulgata. Nel 1762, conclusa la Guerra dei sette anni, le norme proposte furono
incorporate in un manifesto che Pietro III pubblicò poco prima della sua deposizione e che
aboliva completamente il servizio obbligatorio. Fu un punto di svolta per la storia sociale
della Russia. Da quel momento i nobili erano obbligati a servire solo in periodi di
emergenza, e a garantire che i loro figli fossero ugualmente pronti, rischiando altrimenti di