Page 89 - Storia della Russia
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strutture di polizia e controllo. L’intervento negli affari del villaggio da parte di un’autorità
superiore (polizia, funzionari, ufficiali dell’esercito, il pomeščik o il suo amministratore)
portava sempre richieste e imposizioni e spesso percosse. Degli stranieri bisognava
sempre diffidare.
Dal XVII al XIX secolo la servitù della gleba fu in Russia una delle istituzioni più
caratteristiche, al punto che continuò a far sentire la propria influenza persino dopo
l’abolizione nel 1861. All’epoca di Pietro, il servo era già sotto il pieno controllo del suo
signore: nel 1721 lo zar dovette promulgare un decreto che vietava la vendita di contadini
«come bestiame, pratica ignota in ogni altra parte del mondo […] e particolarmente
crudele quando separa un figlio o una figlia dalla famiglia, provocando molto dolore». Era
il chiaro riconoscimento di una situazione di fatto. Il divieto restò lettera morta. D’altra
parte, per adattare in modo più produttivo la società alla sua visione complessiva, Pietro
prese deliberatamente una serie di misure che estendevano e rafforzavano la servitù: abolì
la differenza tra schiavi e contadini servi della gleba che pagavano le tasse e istituì forme
di servitù industriale per fornire forza lavoro gratuita allo stato (contadini «ascritti») e alle
imprese private (contadini «di proprietà»). Il suo nuovo sistema di reclutamento liberava
de iure le reclute dal padrone, per poi asservirle nuovamente de facto alla disciplina
militare, fino alla morte o alla invalidità. La tassa sulle anime, pagata da tutte le categorie
inferiori non militari, divenne un indicatore di servitù e un mezzo di asservimento. I
registri del censo, che indicavano l’assoggettamento alla tassa, venivano infatti usati anche
per dimostrare la proprietà dei servi. L’introduzione di passaporti interni (1724) per i
contadini che dovevano viaggiare facilitò il controllo degli spostamenti. Il servo, dunque,
era a completa disposizione del padrone; il resto dei contadini, per la maggior parte
«contadini di stato», vennero chiamati da alcuni storici «servi della gleba di stato» in
quanto soggetti a un controllo simile da parte degli organismi statali. Questa visione,
tuttavia, ignora una differenza essenziale: essi non erano proprietà di una persona e non
potevano essere venduti. Se ne avevano l’opportunità, i contadini che lavoravano per i
possidenti esprimevano l’aspirazione a diventare contadini di stato.
Al suo massimo sviluppo il sistema russo della servitù della gleba è stato equiparato alla
piena schiavitù. I suoi dannosi effetti sul carattere e sulla personalità di alcuni servi –
ignoranza, apatia, pigrizia, ubriachezza, slealtà, propensione al furto – sono stati più volte
elencati da osservatori compassionevoli e giustamente interpretati come forme di
resistenza all’autorità del padrone, nonché conseguenze della disperazione e dell’assoluta
mancanza di incentivi per un possibile miglioramento; i sostenitori della servitù portavano
invece questi vizi a riprova della necessità di uno stretto controllo. È importante
sottolineare, inoltre, che fino al tardo XVIII secolo la maggior parte dell’opinione
pubblica europea era perfettamente a suo agio davanti alla servitù della gleba dei bianchi e
alla schiavitù dei neri; solo gli abusi suscitavano preoccupazione. Nella Russia petrina non
era argomento di discussione se la servitù della gleba fosse auspicabile. Secondo gli
standard moderni, in genere i proprietari terrieri trattavano duramente i servi (esattamente
come facevano i primi industriali britannici con i loro operai), ma esisteva un ambito
accettato di relazioni, un’«economia morale», all’interno della quale entrambe le parti
potevano agire senza alcuna ritorsione. Uccidere i propri servi era proibito, ma se questi
morivano dopo essere stati picchiati, il padrone non era ritenuto responsabile; tuttavia,
simili casi, benché a volte celebri, erano probabilmente eccezionali. A volte erano i