Page 241 - Storia della Russia
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economie di più vasta scala e per ragioni di controllo logistico e politico, crearono realtà
troppo grandi per essere efficienti e funzionali in quel tipo di sistema; d’altra parte, gli
appezzamenti privati, estremamente produttivi, erano troppo piccoli. In ogni caso, come
nota l’economista Philip Hanson, il settore agricolo soffriva degli stessi intrinseci difetti
dell’industria:
La direzione dello stato sovietico e delle fattorie collettive, se si escludono una manciata di casi […], non
sembrava curarsi di fare economia e di ridurre gli sprechi. Si trattava solo di adeguarsi agli ordini provenienti
dall’alto, incoerenti e male informati. Mancava ogni incentivo al risparmio, scarseggiava la manodopera
specializzata, la supervisione dell’enorme numero di impiegati era inevitabilmente insufficiente, e la maggior
parte dei contadini dipendeva per la sopravvivenza dai propri appezzamenti privati.
Dal 1955 la situazione fu inasprita dalla nomina nei kolchoz di una nuova generazione
di dirigenti, outsider provenienti dal partito o dall’esercito, che divennero manager
dispotici, più vicini alle autorità regionali che ai contadini. In un resoconto degli anni
Sessanta il rapporto tra i nuovi amministratori e i lavoratori viene paragonato a quello tra i
nobili proprietari terrieri e i loro servi della gleba in regime di barščina dell’epoca
imperiale. Nelle campagne il processo per migliorare le condizioni di vita proseguiva
lentamente: benché in ripresa, i kolchoz erano comunque ancora indietro in termini di
benessere, servizi e istruzione; i giovani contadini più intraprendenti lasciavano i villaggi
per le migliori possibilità di carriera offerte dalle città. La struttura dell’agricoltura
sovietica, i diktat esterni, la burocrazia a livello dirigenziale e la leadership autocratica
esercitata localmente continuavano a privare i contadini di incentivi e autonomia e a
minare la capacità statale di nutrire i propri cittadini con le sole risorse interne. Dal 1981
l’entità del raccolto del grano divenne segreto di stato.
Sotto Chruščëv e Brežnev, il governo dello «stato contadino» fu quindi relativamente
meno dittatoriale. Come nel modello di Spittler (vedi pp. [cap.3]), i contadini adottarono
gli atteggiamenti, i modi di vita e i comportamenti che meglio si adattavano alle
circostanze e al loro perdurante stato di soggezione. Non si sentirono mai responsabili
della proprietà o dei profitti della comunità, resistendo o affrontando con riluttanza i
tentativi di mobilitazione dei dirigenti delle fattorie, che dovevano amministrare i kolchoz
al loro meglio e rappresentarli davanti alle autorità esterne: una situazione descritta
vividamente nel racconto di Fëdor Abramov Vokrug da okolo (Attorno e intorno) del
1963. Le conseguenze della dekulakizzazione stalinista, della collettivizzazione e dello
sfruttamento coatto contribuirono a creare, fino alla fine dell’Unione Sovietica e oltre, un
settore agricolo profondamente inefficiente e una classe contadina priva di contatti con la
società urbana, senza motivazioni, intraprendenza ed energia imprenditoriale, preoccupata
solo della propria sussistenza. La necessità di importare beni alimentari divenne un fattore
importante anche nelle relazioni internazionali sovietiche.