Page 240 - Storia della Russia
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esportatrice di petrolio beneficiava di quegli aumenti. Nel 1986, infatti, la forte caduta del
        prezzo del greggio a livello mondiale ebbe un ruolo nei problemi economici di Gorbačëv.)
        I guadagni derivati dall’esportazione di materie prime, in particolare petrolio, gas e oro,
        garantirono  in  buona  parte  l’equilibrio  economico  sovietico.  Per  alcuni,  avrebbero
        contribuito  alle  difficoltà  economiche  degli  anni  Settanta  e  Ottanta  anche  l’eccessivo
        sfruttamento delle risorse e la fiducia riposta dai sovietici in un mercato d’esportazione
        sempre  soggetto  a  oscillazioni.  Un  altro  vizio  endemico  e  cruciale  fu  la  debolezza
        dell’agricoltura.

           Dopo il 1953 la centralità dell’industria pesante, caratteristica dell’epoca staliniana, fu
        messa in discussione e ridimensionata per venire incontro alle necessità dei consumatori,
        che  comprendevano  i  beni  alimentari,  e  quindi  l’agricoltura.  Il  settore  dell’industria
        pesante  e  delle  macchine  utensili,  così  vicino  alla  produzione  militare,  tuttavia,  rimase
        sempre dominante nell’economia sovietica. È necessario far notare quale peso avesse il

        cibo nel bilancio di una famiglia sovietica. In un’economia di salari bassi, in cui i servizi e
        le  necessità  essenziali  (alloggio,  acqua  e  luce,  assistenza  medica,  trasporti,  istruzione)
        erano forniti dallo stato a poco prezzo o gratuitamente, il cibo diventava la voce principale
        tra le spese individuali e familiari: la sua reperibilità a prezzi ragionevoli costituiva una
        parte fondamentale del tacito «contratto sociale» sovietico. E se le città necessitavano di
        una  maggiore  quantità  di  cibo,  anche  la  situazione  delle  campagne  reclamava  un
        intervento  urgente.  All’inumano  sfruttamento  stalinista  dei  contadini  si  erano  sostituite
        politiche  più  attente  ai  loro  bisogni  e  diritti,  che  tendevano  a  razionalizzare  i  rapporti
        economici tra mondo rurale, città e stato. Sotto Brežnev, finalmente, il governo concesse
        ai contadini indennità statali simili a quelle di cui godevano da anni i lavoratori urbani:
        negli  anni  Sessanta  furono  introdotte  le  prime  forme  di  assistenza  pensionistica  (molto
        bassa),  seguite  poco  tempo  dopo  da  un  salario  minimo  garantito  e  un’assicurazione

        sanitaria. I limiti di grandezza degli appezzamenti privati furono aumentati. Una nuova
        Carta dei kolchoz, promulgata nel 1969, continuava a negare ai kolchozniki il diritto di
        possedere un cavallo, o di ricevere automaticamente un passaporto interno, ma nel corso
        del decennio successivo la situazione migliorò ed entro il 1980 i lavoratori delle fattorie
        collettive  acquisirono  gli  stessi  diritti  legali  e  le  stesse  possibilità  di  spostamento
        all’interno dell’Unione dei loro vicini di città.

           Tutto  questo,  però,  non  bastava  da  solo  a  cambiare  l’agricoltura  sovietica.  Come
        abbiamo  visto,  l’investimento  statale  in  ambito  agricolo  aumentò  notevolmente  dopo  il
        1953 e continuò a salire per tutta l’epoca poststaliniana: alla fine degli anni Sessanta era il
        18% del totale, un decennio dopo superava il 25%. In questo modo si ottenne un notevole
        incremento  della  produzione.  Tuttavia,  le  importazioni  di  beni  alimentari  dovettero
        continuare:  alla  fine  degli  anni  Settanta  assorbivano  ormai  il  40%  delle  spese  di
        importazione in valuta pregiata, e nel 1981 Brežnev dichiarò il «problema alimentare» al
        centro  del  nuovo  undicesimo  piano  quinquennale  (1981-1985).  Per  aumentare  la
        produzione agricola, negli anni Sessanta e Settanta si fece ricorso a tutti i metodi estensivi
        possibili,  migliorando  scorte,  semenze,  fertilizzanti,  ecc.;  ma  negli  anni  Ottanta  gli

        investimenti crescevano e i risultati calavano. Dal 1950 in poi fu adottata una politica di
        fusione dei kolchoz in unità più grandi: il numero delle fattorie collettive scese da 250.000
        nel 1949 a 69.000 nel 1958, fino a raggiungere quota 35.000 nel 1965; molti kolchozniki
        furono assegnati alle fattorie statali. Ma queste misure, prese nella speranza di realizzare
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