Page 245 - Storia della Russia
P. 245
Regime e società
I dilemmi del progresso
Con il ridimensionamento nel 1953 dell’apparato di terrore stalinista, la dirigenza
sovietica e l’élite si trovarono ad affrontare una situazione nuova. Fin dall’inizio del potere
sovietico il regime aveva imposto la sua autorità, mantenuto l’ordine e mobilitato società
ed economia con una combinazione di ideologia, idealismo, controllo e repressione. La
fede e l’entusiasmo popolare per il marxismo-leninismo non furono mai unanimi e
vennero fortemente scossi dalla denuncia chruščëviana degli abusi di Stalin, con la
promessa che non si sarebbe più tornati a un’oppressione di tale portata. Per difendere la
sua autorità morale il regime poststaliniano doveva dimostrare la sua competenza pratica e
la giustezza del suo schema ideologico: da qui il costante risalto dato ai risultati materiali e
alla crescita del potere sovietico a livello planetario. I cittadini sovietici, per altri versi
scettici, si potevano ammansire ed entusiasmare aumentando e migliorando i beni di
consumo e nutrendo il loro orgoglio di far parte di una superpotenza, oltre ai sentimenti
tradizionali di superiorità nazionale. Quando Gagarin trionfò sul programma spaziale
americano, per l’opinione pubblica la portata militare dell’evento fu oscurata dalla vittoria
sovietica sui rivali capitalisti, e solo in pochi avanzarono il dubbio che quelle risorse si
sarebbero potute investire per necessità materiali. Ciononostante, mantenere viva la fede
comunista tra la popolazione divenne sempre più difficile e, dagli anni Sessanta agli anni
Ottanta, epoca che segna l’apogeo del potere sovietico a livello internazionale, si diffuse
un profondo e disincantato cinismo.
Il problema era di carattere pratico e ideologico. Grazie all’ottima opera educativa
sovietica, la popolazione era sempre più istruita. Il miglioramento delle comunicazioni e la
graduale diffusione dei viaggi all’estero, anche in altri paesi comunisti, resero più
facilmente accessibili le idee esterne e le fonti di informazioni, nonostante i tentativi
ufficiali di disturbare il segnale delle radio occidentali e le restrizioni a strumenti come le
fotocopiatrici. (Durante il fallito colpo di stato del 1991, Gorbačëv ascoltava il BBC World
Service per sapere quello che stava succedendo a Mosca.) Le promesse non mantenute e le
rivelazioni della destalinizzazione, anche se limitate, avevano incrinato il mito
dell’infallibilità del partito e il suo messaggio. Tutti questi fattori messi insieme
sovvertirono la linea ufficiale: c’erano sempre più sostenitori del regime preoccupati e
critici, e oppositori, anche se i cittadini sovietici sapevano bene in che modo ci si doveva
esprimere in pubblico. I figli della nomenklatura erano più interessati alla musica pop
occidentale o a un «favoloso» paio di jeans che a Marx e alla costruzione del comunismo.
Ma l’orgoglio per gli effettivi traguardi raggiunti dal paese, il costante indottrinamento,
l’onnipresenza del KGB e l’estenuante lavoro quotidiano mantenevano tranquilla e
ubbidiente la maggior parte della popolazione. Con l’allentarsi della repressione, operai
indisciplinati, capi partito locali, imprenditori dell’economia sommersa o intellettuali
indipendenti potevano farsi beffe delle aspettative del governo senza rischiare la vita.
Inoltre, anche per il regime l’iniziativa personale e il confronto con la verità erano, entro
certi limiti, utili al progresso sociale ed economico. Non si vive di solo pane di Dedincev
(1956), con il suo titolo apertamente metafisico e la sua descrizione della dura e osteggiata
lotta di un inventore idealista, coronata alla fine dal successo, mostrava che l’eroismo
consisteva nell’affrontare e combattere un establishment locale egoista e corrotto in nome