Page 235 - Storia della Russia
P. 235

L’epoca di Brežnev, 1964-1982: stabilità e stagnazione

        Il  successore  di  Chruščëv  come  primo  segretario  del  partito  fu  Leonid  Brežnev,  con
        Aleksej Kosygin presidente del Consiglio dei ministri. Molti dei cambiamenti di Chruščëv
        furono revocati. Brežnev costruì la sua base di consenso nel (ora ribattezzato) Politbjuro,
        emergendo  tra  i  suoi  colleghi  come  un  primus inter pares.  Negli  ultimi  anni  della  sua
        dirigenza,  anche  nei  suoi  confronti  si  sviluppò  una  sorta  di  culto  della  personalità;  ma
        siccome Kosygin mantenne la propria posizione fino alla morte, nel 1980, la leadership

        rimase  fondamentalmente  collettiva  o  oligarchica.  Nel  1966,  al  XXIII  Congresso  del
        partito, Brežnev fu promosso segretario generale (titolo usato da Stalin) e undici anni dopo
        divenne anche presidente del Presidium del Soviet supremo, capo nominale dello stato. Fu
        ricoperto  di  onorificenze  militari  e  civili,  tra  cui  il  premio  Lenin  per  la  letteratura  in
        seguito alla pubblicazione nel 1973 delle sue egocentriche memorie (tra l’altro non scritte
        da  lui).  Il  suo  potere  personale,  però,  fu  inferiore  a  quello  di  Chruščëv,  tanto  che  egli
        insistette per governare collegialmente, e assicurarsi l’appoggio della sua base di partito.
        La sua parola d’ordine fu «stabilità dei quadri», e a tutti i livelli del partito il ricambio dei
        funzionari procedette con estrema lentezza. La leadership, a differenza di Chruščëv, lasciò
        lavorare  gli  specialisti  senza  interferenze.  Brežnev  indulse  nel  nepotismo  e  tollerò  la
        corruzione.  Invecchiò  insieme  ai  suoi  colleghi,  costituendo  una  vera  e  propria
        gerontocrazia.  Dal  1973  la  sua  salute  peggiorò,  e  negli  ultimi  anni  rimase  invalido  e
        inabile  alle  sue  mansioni;  ma  morì  in  carica  nel  1982.  I  suoi  due  successori,  Jurij
        Andropov  (1982-1984)  e  Konstantin  Černenko  (1984-1985),  non  sopravvissero  alla
        nomina più di quindici mesi.

           Brežnev fu soprattutto un apparatčik; non molto colto, privo di profondità speculativa,

        si  dimostrò  tuttavia  un  buon  organizzatore.  Durante  il  suo  regime,  la  leadership  si
        concentrò su ordine, controllo e altre priorità tradizionali. La destalinizzazione del partito
        fu  parzialmente  annullata.  Gli  enormi  investimenti  agricoli  e  le  sovvenzioni  alimentari
        continuarono,  le  spese  militari  aumentarono  e  i  modelli  economici  consolidati  furono
        mantenuti: le misure introdotte da Kosygin nel 1965-1966 per incentivare una maggiore
        flessibilità economica decaddero lentamente. L’esistenza dei cittadini che si conformavano
        scorreva  tranquilla,  e  gli  standard  di  vita  cominciarono  ad  alzarsi.  Con  un  leggero
        miglioramento materiale, Brežnev si comprò la tranquillità politica: un tacito «contratto
        sociale» tra il partito e il popolo. Negli anni Ottanta la maggior parte delle famiglie poteva
        ormai aspirare a un frigorifero o a un televisore; le auto private, invece, rimasero poche, e
        periodicamente mancava qualche genere alimentare. La vita migliorò anche nelle fattorie
        collettive. Fu concessa maggiore libertà in ambito religioso e nelle scienze naturali, ma
        non  in  quelle  sociali  e  nella  letteratura.  In  politica  estera,  nonostante  la  repressione  in
        Cecoslovacchia  del  1968,  una  certa  «distensione»  con  l’Occidente  portò  al  clamoroso
        successo  dell’accordo  di  Helsinki  del  1975,  che  ratificò  la  situazione  geopolitica
        dell’Europa  del  dopoguerra  e  stabilì  i  confini  dell’Urss  che  rimasero  validi  fino

        all’invasione  dell’Afghanistan  nel  1979.  In  patria,  la  promessa  di  Chruščëv  di  un
        comunismo pienamente realizzato entro il 1980 finì nel dimenticatoio: l’Urss si trovava
        nella fase – indeterminata e vaga – del «socialismo sviluppato». Nel 1977 fu promulgata
        una nuova Costituzione che rifletteva questo livello di sviluppo; tra le altre cose tornava a
        mettere in risalto il ruolo del partito nella vita sovietica. La dirigenza cercò di coinvolgere
        la  popolazione,  incoraggiando  l’iscrizione  al  partito:  il  numero  dei  membri  aumentò  in
   230   231   232   233   234   235   236   237   238   239   240