Page 239 - Storia della Russia
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ufficiali rispetto a meccanismi e canali di stato, alimentando il cinismo e la diffidenza nei
        confronti della legge e dei valori pubblici. Questi fattori continuarono a operare e a far
        sentire la loro influenza fino alla caduta dell’Unione Sovietica e anche oltre.

           L’economia dei piani quinquennali funzionò (con un diverso grado di successo) dagli
        anni  Trenta  agli  anni  Ottanta,  garantendo  la  stabilità  macroeconomica,  una  crescita
        continua della produzione, la piena occupazione e la certezza del lavoro, nonché il minimo
        indispensabile per la vita di tutti i giorni. La colossale pianificazione coinvolse milioni di
        unità che producevano venti milioni di categorie di beni diversi; nonostante tutti i suoi
        limiti, un risultato notevole. Dopo il 1953, si smise di ricorrere al terrore come incentivo
        economico, e l’Unione Sovietica cominciò ad aprirsi al mondo, sviluppando forti relazioni
        commerciali con i partner del Comecon e con le economie occidentali. Anche il sostegno
        materiale  ai  regimi  del  Terzo  Mondo  (per  esempio  l’acquisto  dello  zucchero  cubano)
        divenne parte integrante dell’attività economica. In patria, col tempo, i governi si fecero

        più attenti ai fattori sociali, nonché alle necessità e alla soddisfazione dei consumatori;
        negli anni Settanta e Ottanta si dimostrarono anche sensibili dal punto di vista economico
        agli sviluppi politici dei paesi appartenenti al Comecon, in particolare la Polonia. Dopo
        Stalin, la disciplina legata al sistema si allentò gradualmente, lasciando ai produttori una
        maggiore  libertà:  un  bisogno  che  si  faceva  sempre  più  pressante  davanti  alla  crescente
        complessità dell’economia.

           Tuttavia,  il  regime  economico  sovietico  restò  immobile,  rigido  e  inefficiente.
        Disinteressato  alla  qualità  dei  prodotti  e  alla  loro  praticità,  sosteneva  fattori  produttivi
        dispendiosi e inutili, e incentivava pochissimo l’innovazione. Per i ministri e i dirigenti
        d’azienda,  introdurre  metodologie,  macchinari  o  prodotti  nuovi,  in  genere  significava
        creare  problemi,  squilibri  economici  immediati  e  ostacoli  alla  produzione,  che
        minacciavano  di  compromettere  i  risultati  pianificati  e  con  essi  i  tanto  attesi  premi  e
        benefici.  Di  conseguenza,  le  novità  non  erano  mai  accolte  con  entusiasmo.  Questa
        diffidenza  nei  confronti  dei  cambiamenti  rimase  costante,  nonostante  la  crescita  della
        ricerca  e  dello  sviluppo  sovietico  e  i  massicci  acquisti  in  campo  tecnologico  e  di
        macchinari industriali praticati negli anni Trenta e ripresi in larga scala con Chruščëv dal

        1958,  soprattutto  per  modernizzare  l’industria  chimica.  L’importazione  di  macchinari
        rimase  un  fattore  essenziale,  mentre  autorizzazioni  e  investimenti  stranieri  diretti  erano
        proibiti.  Logica  conseguenza  di  una  simile  politica  furono  i  progetti  industriali  «ad
        appalto»:  impianti  forniti  e  installati  da  appaltatori  stranieri.  Dal  1965  al  1970,  ad
        esempio,  gli  ingegneri  della  Fiat  costruirono  la  grande  Fabbrica  Automobili  del  Volga
        (VAZ) a Tol’atti sul Volga (una nuova città, cui venne dato il nome del leader comunista
        italiano Palmiro Togliatti), e addestrarono operai sovietici in Russia e in Italia; alla fine,
        l’appaltatore  straniero  consegnava  allo  stato  un  complesso  industriale  perfettamente
        funzionante.

           La VAZ fu costruita sotto l’amministrazione Brežnev, che nei suoi primi anni, basandosi
        sugli sviluppi e sugli investimenti degli anni Cinquanta, ottenne alcuni successi. Solo dopo
        il 1973 il rallentamento economico cominciò a destare preoccupazione, ma neppure allora
        la crescita cessò del tutto: dal 1973 al 1982 il  PIL pro capite salì annualmente in media
        dello 0,9%. Il 1973 segnò una flessione anche per le economie occidentali, soprattutto a
        causa degli aumenti indiscriminati decisi dall’OPEC per il prezzo del petrolio. (Questo fatto

        rendeva ancor più preoccupante la crisi in Unione Sovietica, che essendo un’importante
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