Page 167 - Storia della Russia
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Lo sviluppo di un movimento rivoluzionario: 1861-1917

        Il populismo

        L’emancipazione  del  1861  realizzò  le  peggiori  paure  della  sinistra  radicale.  A  San
        Pietroburgo  scoppiarono  misteriosi  incendi  e  apparvero  proclami  rivoluzionari  anonimi
        che dichiaravano la loro solidarietà con i contadini diseredati. Nel 1863 un piccolo gruppo
        di  attivisti  diede  vita  a  un’organizzazione  clandestina  chiamata  Zemlja  i  volja,  Terra  e

        libertà, vale a dire ciò che i contadini avrebbero dovuto ricevere. Prima organizzazione
        rivoluzionaria dall’epoca dei decabristi, Zemlja i volja mirava a perseguire la causa del
        socialismo rivoluzionario, provocare agitazioni tra i contadini e creare un collegamento
        con l’emigrazione radicale all’estero. Il gruppo ebbe vita breve: venne sciolto dalla polizia
        che  arrestò  i  suoi  membri,  tra  cui  Černyševskij,  ma  altre  piccole  organizzazioni
        continuarono a esistere, soprattutto in ambiente universitario. A una di queste apparteneva
        il fallito attentatore del 1866, Karakozov: gettatosi nella sua impresa senza il benestare dei
        compagni, egli provocò una risposta violenta da parte del governo; inoltre, insieme al caso
        straordinario  di  Sergej  Nečaev,  carismatico  personaggio  psicopatico  che  uccideva  per
        servire  la  causa  rivoluzionaria,  gettò  discredito  sulle  azioni  dirette.  Gli  anni  seguenti
        furono  fondamentalmente  pacifici:  i  radicali  si  preparavano  alla  futura  azione
        rivoluzionaria  e  cercavano  di  stringere  rapporti  con  le  masse,  il  narod,  e  di  motivarle,

        all’inizio  rivolgendosi  solo  agli  operai  delle  città,  poi,  una  volta  assicuratosi  il  loro
        consenso,  passando  anche  ai  contadini.  A  ispirare  queste  attività  fu  un  libro  di  enorme
        influenza, Lettere storiche (1870) di Pëtr Lavrov, dove si sosteneva che, siccome il narod
        manteneva  gli  intellettuali  con  il  suo  lavoro,  era  compito  di  questi  ultimi  aiutarlo  a
        trasformare la propria vita, poiché la rivoluzione doveva essere opera del popolo stesso.
        Nel  1872-1873,  ma  soprattutto  nel  1874,  migliaia  di  studenti,  i  cosiddetti  narodniki  o
        populisti,  con  entusiasmo  e  dedizione  «andarono  al  popolo»  nelle  campagne.  Ma
        persuadere,  o  anche  solo  comunicare  con  i  contadini  dei  villaggi,  si  dimostrò  più
        complicato del previsto: da tutte e due le parti si verificò una sorta di shock culturale. Era
        possibile allacciare qualche contatto significativo solo quando gli studenti trovavano un
        ruolo utile dal punto di vista pratico che non contrastasse con i preconcetti dei contadini
        sul  modo  in  cui  simili  estranei  (insegnanti,  medici)  dovevano  comportarsi.  Tuttavia,
        predicare il socialismo ateo a una classe contadina che ancora venerava Dio e lo zar era
        un’impresa  disperata.  Ma,  mentre  i  contadini  denunciavano  di  rado  gli  insoliti  nuovi
        arrivati, i detentori del potere locale (proprietari, preti, poliziotti) li temevano e spesso li
        facevano  arrestare.  Nel  1877-1878,  per  esempio,  le  autorità  organizzarono  due  grandi

        processi  pubblici  con  93  e  177  imputati;  di  questi  ultimi,  90  furono  assolti  e  solo  28
        condannati  ai  lavori  forzati.  Non  lo  si  può  comunque  considerare  un  trionfo
        rivoluzionario.

           Il fallimento di questa «andata al popolo» portò i radicali alla conclusione che servisse
        controllare e concentrare maggiormente il lavoro rivoluzionario: nel 1876 fu fondata una
        seconda Terra e libertà, un’organizzazione clandestina centralizzata, con l’intento di creare
        una rete di supporto nelle province. La diatriba su come giungere alla rivoluzione mise in
        luce  profonde  spaccature,  che  giunsero  a  maturazione  nel  1879.  I  «propagandisti»
        rimanevano  fedeli  all’idea  che  il  popolo  divenisse  l’artefice  della  propria  rivoluzione:
        spettava  ai  rivoluzionari  il  compito  di  educarlo,  di  fornirgli  gli  strumenti  per  agire:  un
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