Page 165 - Storia della Russia
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Alla  morte  di  Tolstoj,  le  sue  preoccupazioni  religiose  erano  ormai  condivise  da  una
        vasta parte dell’élite culturale. Ciò è vero in particolar modo per la straordinaria letteratura
        dell’età d’argento, che produsse alcuni dei maggiori scrittori russi. Traendo ispirazione dal
        rinnovamento  spirituale  avvenuto  alla  svolta  del  secolo  e  rappresentato  dalle  opere
        filosofico-religiose di Vladimir Solov’ëv, Nikolaj Berdjaev e Vasilij Rozanov, gli scrittori
        simbolisti e i loro contemporanei – quasi tutti provenienti dai ceti colti e intellettuali della
        società  –  mescolarono  sperimentazione  formale,  individualismo  mistico  o  egotista  e
        fantastici paesaggi urbani, soprattutto sullo sfondo della capitale. Pietroburgo (1910-1916)
        di  Andrej  Belyj  inserisce  la  città  in  un’oscura  visione  mistica  dell’identità  russa  in  un
        mondo che cambia. L’intensa e personale lirica d’amore della giovane «acmeista» Anna

        Achmatova (al secolo Gorenko) ha per scenario l’intimità dei dintorni di Carskoe Selo e
        una San Pietroburgo domestica, dove lei e i poeti del suo gruppo frequentavano il cabaret
        Cane randagio nei pressi del Nevskij Prospekt. Tutto questo era molto lontano dalle dure
        condizioni  di  vita  delle  classi  inferiori:  in  seguito,  dall’emigrazione,  Berdjaev  scriverà:
        «Comprendo ora che vivevamo in una torre d’avorio in cui inseguivamo discorsi mistici,
        mentre sotto di noi il tragico destino della Russia prendeva il suo corso». L’espressione
        politica  che  più  rispecchia  questo  allontanamento  ideologico  dalle  posizioni
        dell’intellighenzia radicale è la pubblicazione nel 1909 di Pietre miliari, una raccolta di
        saggi «revisionisti» con interventi di radicali pentiti come Berdjaev e Pëtr Struve. Pietre
        miliari criticava aspramente l’intellighenzia che, secondo gli autori, idealizzava il narod,
        le  masse,  senza  capirle,  trascurando  valori  fondamentali  come  la  verità,  la  legge  e  la
        solidità dello stato. Nei loro scritti invitavano l’intellighenzia a perfezionare umilmente se
        stessa prima di cercare di rendere perfetta la società. Aleksandr Blok, uno dei maggiori
        poeti simbolisti, rappresentava una visione diversa. Sebbene attratto dal regno mistico dei
        simbolisti, egli guardò con profondo favore alla Rivoluzione, cui diede una sua personale
        interpretazione: nei Dodici (1918), ad esempio, descrive una nuova Russia rivoluzionaria,

        misticamente santificata dal ritorno di Cristo.

           Nello stesso periodo si andava sviluppando anche un’altra corrente letteraria, più legata
        alla  vita  cittadina:  quella  rappresentata  dai  racconti,  le  novelle  e  i  drammi  del  medico
        Anton Čechov e nell’opera di Maksim Gor’kij (che in russo significa «amaro», al secolo
        Peškov). Figlio di un falegname di Nižnij Novgorod, Gor’kij univa il romanticismo con
        l’amara esperienza della realtà di miseria e brutalità dei ceti urbani più poveri, come ad
        esempio  nei  Bassifondi  (1902).  Alla  svolta  del  secolo  Gor’kij  e  Tolstoj  erano
        probabilmente gli scrittori più famosi della Russia: l’aristocratico proprietario terriero che
        voleva  diventare  contadino  e  l’intellettuale  proletario  urbano,  entrambi  in  rotta  con  il
        sistema zarista.
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