Page 171 - Storia della Russia
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Socialrivoluzionari e socialdemocratici, 1900-1917

        Nel 1896 i veterani dei processi del 1878 finirono di scontare le loro pene e fecero ritorno
        dalla Siberia, dando nuovo impulso in patria alla corrente dei neonarodniki, rappresentata
        dal Partito socialrivoluzionario. Gli SR concentrarono la loro attenzione sulla maggioranza
        contadina,  cercando  di  mantenere  sempre  una  base  urbana;  non  rifiutavano  l’analisi
        marxista e, a differenza degli SD, non distinguevano tra le diverse componenti del «popolo
        lavoratore».  Combinavano  organizzazione  e  agitazione  delle  masse  con  l’uso  della

        violenza  e  del  terrore  come  strumento  di  intimidazione,  vendetta  e  finanziamento  (le
        banche erano tra gli obiettivi più frequenti; alcuni SD adoperarono la stessa strategia). La
        loro  «organizzazione  di  lotta»  fu  guidata  da  Grigorij  Geršuni  e  dall’abilissimo
        doppiogiochista Evno Azef. Il geniale Geršuni, descritto come il Lenin degli SR, morì di
        tubercolosi  nel  1908.  Il  maggiore  leader  e  teorico  degli  SR,  invece,  fu  Viktor  Černov,
        ideologo capace, ma pessimo organizzatore; un’altra grande personalità del movimento fu
        l’abile agitatrice Ekaterina Breško-Breškovskaja, la «nonna della Rivoluzione».

           Per rilanciare il partito i socialdemocratici si riunirono nel 1903 prima a Bruxelles, poi a
        Londra. Il programma era stato scritto dal gruppo dell’«Iskra» e prevedeva un periodo di
        governo borghese prima che la dittatura del proletariato aprisse la strada al socialismo. Si
        rivendicavano  ampi  diritti  per  gli  operai,  e  per  i  contadini  la  libertà  dalla  comune  e  la
        restituzione delle terre perdute con l’emancipazione: era un programma minimalista, che
        rifletteva  le  scarse  speranze  che  il  partito  riponeva  nelle  capacità  rivoluzionarie  dei
        contadini; andando incontro alla tradizione terrorista, fu proclamato il diritto del governo
        proletario a usare la forza in caso di necessità. Il punto più controverso del programma
        riguardava l’organizzazione del partito. Nel suo pamphlet Che fare? (1902) Lenin aveva

        sostenuto che la classe operaia avrebbe potuto guidare con successo la rivoluzione solo se
        diretta dai socialdemocratici rivoluzionari, con le loro conoscenze marxiste «scientifiche»
        e  la  loro  «giusta»  teoria:  i  lavoratori,  da  soli,  non  erano  in  grado  di  raggiungere
        consapevolezza e abilità adeguate. Le condizioni per l’appartenenza al partito proposte dal
        gruppo  dell’«Iskra»  riflettevano  questa  visione:  Lenin  pretendeva  la  «partecipazione
        personale»  alle  organizzazioni  del  partito,  mentre  il  suo  avversario,  Julij  Martov,  era
        favorevole a un criterio più ampio, vale a dire «fornire con regolarità aiuto personale sotto
        la direzione di una delle organizzazioni di partito». La questione fu messa ai voti: Lenin
        rimase in minoranza, ma i suoi sostenitori ottennero la maggioranza sulla composizione
        del Comitato centrale del partito. Così Lenin, con una certa arbitrarietà, rivendicò per il
        suo gruppo il nome di «bolscevichi» (maggioritari), mentre Martov e i suoi simpatizzanti
        accettarono  quello  di  «menscevichi»  (minoritari).  Le  divergenze  sulla  definizione  dei
        criteri di appartenenza al partito sembravano trascurabili, ma si basavano su una differenza
        sostanziale che preannunciava dissensi più vasti e profondi, cristallizzatisi più chiaramente
        dopo il 1905, fino a portare alla scissione ufficiale nel 1912. I menscevichi, che pensavano
        più in termini di un largo movimento che di rigida disciplina di partito, erano disposti a

        collaborare con altri radicali e a lasciare che la Storia facesse il suo corso marxiano. Lenin,
        invece,  voleva  un  partito  disciplinato  composto  da  rivoluzionari  professionisti,  che
        avrebbero  accelerato  il  processo  storico;  aveva  un’idea  accentratrice,  volontarista  e
        autoritaria,  che  contemplava  il  controllo  del  partito  sui  suoi  membri  e  quello
        rivoluzionario sulla società. Non tollerava rivali e pensava che la leadership del partito
        non dovesse avere limiti. Questo approccio rischiava in definitiva il dispotismo, ossia di
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