Page 111 - Storia della Russia
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della «nazionalità ufficiale» di Uvarov riassumeva la grandezza e l’unicità della Russia
governata dallo zar nella trinità di autocrazia, ortodossia e nazionalità. Quest’ultima
rappresentava un concetto alquanto vago (narodnost’, la qualità rappresentata dal o riferita
al popolo) che Uvarov faceva coincidere con quello di servitù, un istituto da lui approvato
e incoraggiato in base alla teoria che i proprietari terrieri con servi rappresentavano il
fondamento dell’autocrazia. Ma dopo il 1848 i tentativi del governo di controllare la
società divennero così estremi che persino Uvarov finì per dimettersi e Michail Pogodin,
sostenitore di una politica conservatrice, accusò addirittura il governo di imporre «la pace
di un cimitero, fetido e marcio sia fisicamente sia moralmente».
In politica estera la «nazionalità ufficiale» si espresse nella ricerca di stabilità e
legittimazione in Europa: l’aiuto fornito ai rivoluzionari greci ortodossi contro il sultano
turco fu modesto e poco deciso, e nel 1849 Nicola appoggiò militarmente gli austriaci
contro i moti ungheresi. La repressione dei polacchi, la minaccia dell’espansione russa
verso est e gli evidenti progetti di Nicola su Costantinopoli provocarono forti reazioni,
alimentando la russofobia in Inghilterra e in Francia. Tra il 1815 e il 1853 la Russia non si
impegnò in nessuna guerra davvero importante. Il governo di Nicola godette all’interno di
un notevole consenso, grazie al quale si difese bene dall’ondata di cambiamenti e
rivoluzione che stava invadendo l’Europa, ma che toccò la Russia solo marginalmente,
persino durante i moti del 1848. Questo isolamento, tuttavia, creò una società di
apparenze, dove sotto la patina dell’ordine autocratico regnavano caos e corruzione, e si
sviluppava in tutta la sua varietà e complessità la vita popolare del XIX secolo, una società
magistralmente dipinta da Nikolaj Gogol’ nei suoi classici L’ispettore generale (1836) e
Le anime morte (1842). La Guerra di Crimea (1853-1856) mostrò, infine, che la Russia
aveva ormai perso la superiorità su cui basava il suo prestigio europeo: la forza bellica. Il
fallimento diplomatico e militare dipese fortemente dal governo autocratico personale e
dal potere ipertrofico con cui lo stato aveva soffocato ogni forma di critica, trasparenza e
indipendenza, nella sua ricerca di un ordine totalmente controllato. Così confidava nel suo
diario il censore liberale A. Nikitenko: «Il problema del regno di Nicola I è che fu tutto un
errore», e alla sua voce si aggiunge quella di Pëtr Valuev, uno dei nuovi «burocrati
illuminati», funzionario intelligente, nonché acuto e qualificato sostenitore dell’autocrazia,
che nei suoi Pensieri di un russo, circolanti inizialmente in forma manoscritta, riassunse il
disincanto di tutta l’élite negli ultimi giorni di guerra, attaccando «l’universale menzogna
ufficiale» che aveva portato a «un marciume coperto di splendore».
Nicola si spense nel 1855, insieme al suo sistema di governo, lasciando al figlio
Alessandro II (1855-1881) il compito di salvare la situazione. I suoi consiglieri lo
convinsero, non a torto, che le condizioni diplomatiche e militari erano disperate e nel
1856 il nuovo imperatore firmò l’umiliante pace di Parigi. La Russia perse svariati territori
e la sua flotta fu esclusa dal Mar Nero. Pur essendo un conservatore, Alessandro si
persuase dell’inevitabilità di una grande riforma interna.