Page 115 - Storia della Russia
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registrando le condizioni climatiche e gli usi delle popolazioni che incontravano. I
resoconti di queste esplorazioni sono testimonianze inestimabili su paesi e società in
procinto di cambiare in modo irreversibile. Opisanie zemli Kamčatki (Descrizione della
terra di Kamčatka, 1755) di Stepan Krašeninnikov, Flora sibirica (in quattro volumi,
1747-1769) di Johann Georg Gmelin e l’incompiuta Flora rossica (in due parti, 1784-
1788) di Peter Simon Pallas sono testi che occupano un posto di rilievo tra i capolavori
scientifici del secolo. Proprio come l’affermazione di comando da parte di Potëmkin in
Nuova Russia e le sue opere di costruzione, questi resoconti rappresentano chiari esempi
di quella aspirazione tipicamente illuminista a conoscere, documentare e comprendere i
confini del proprio mondo.
Con Potëmkin, proseguì a sudest anche la penetrazione russa nel Caucaso. Stretto un
patto con il regno cristiano transcaucasico indipendente della Georgia nel 1769, la Russia
avanzò costantemente grazie a una campagna militare che per cento anni la vide
impegnata contro un variegato gruppo di bellicose popolazioni di montagna, per la
maggior parte musulmane, la cui resistenza fu fiaccata lentamente, e talora con brutalità,
dalla superiorità russa. I successivi viceré del Caucaso si trovarono di fronte un’aspra
resistenza tribale e religiosa, come nel caso della lunga jihad (1834-1859) del capo
islamico Shamil. Quando nel 1866 il Caucaso fu definitivamente pacificato, la Russia
controllava ormai le montagne, la Georgia transcaucasica, l’Armenia orientale e l’attuale
Azerbajdžan. Come per la Crimea tatara, queste guerre montane, con i loro scenari
meravigliosi e i fieri ed esotici nemici, catturarono l’immaginazione romantica dell’élite
letteraria russa, ormai pienamente europeizzata: il Caucaso e la Crimea fanno da sfondo ai
poemi narrativi di Puškin Il prigioniero del Caucaso (1821) e La fontana di Bachčisaraj
(1822) e al capolavoro byroniano di Michail Lermontov, Un eroe del nostro tempo (1840).
Le frontiere meridionali e occidentali offrirono a Caterina II anche una soluzione per il
nascente problema ebraico. Storicamente la presenza ebraica in Moscovia era sempre stata
poco rilevante, e la bigotta Elisabetta aveva espressamente cacciato i «nemici di Cristo».
All’inizio del regno di Caterina, per non offendere il fervore ortodosso, la tollerante
imperatrice aveva ordinato che gli ebrei venissero ammessi clandestinamente alle
estremità occidentali dell’impero, a Riga e nella Nuova Russia. Solo nel 1722, con la
prima partizione della Polonia, le autorità si trovarono a gestire la numerosa popolazione
ebraica che abitava i nuovi territori, cui nel 1783 si aggiunsero gli ebrei caraiti della
Crimea. Ma le iniziali politiche di tolleranza ed equità lasciarono gradualmente il posto a
misure più restrittive e la legislazione degli anni Novanta e del 1804 confinarono gli ebrei
in un «recinto di residenza» nelle zone sudoccidentali della Nuova Russia, nell’ex Polonia
e in Bielorussia. A Odessa si sviluppò una vivacissima cultura ebraica.
Nel XIX secolo proseguì la documentazione del vasto entroterra russo e delle sue
periferie. Nel 1829 il governo finanziò la spedizione in Siberia dello straordinario
viaggiatore Alexander von Humboldt. I viaggi di Nikolaj Prževalskij, forse il più grande
esploratore russo, si inserirono nel contesto dell’espansione coloniale a est, il «grande
gioco» tra le maggiori potenze mondiali della seconda metà del secolo: dal 1867 fino alla
sua morte, nel 1883, Prževalskij intraprese spedizioni particolarmente fruttuose nella
Siberia orientale, in Mongolia, in Tibet e in Turkestan. Nella Russia europea alcune
esplorazioni meno epocali, organizzate dall’Accademia e dal Ministero delle Finanze,
continuarono l’opera di mappatura del paese e di localizzazione delle sue risorse. Nel