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                                                                                      Le mentalità medievali



                         La visione dei potenti In questa teoria dell’ordine sociale non c’è posto per la mobi-
                        lità, cioè il passaggio da un ordine all’altro: ciascuno deve rimanere al suo posto e non è
                        conveniente cercare di sottrarsi alla propria condizione. Il mutamento dell’assetto stabi-
                        lito dalla volontà divina farebbe venir meno quei vincoli di solidarietà reciproca che ten-
                        gono uniti in un comune interesse gli oratores, i bellatores e i laboratores. Ma sconvolge-
                        re l’ordine sociale scardinando i vincoli che legano ciascuno al suo destino, è anche un’of-
                        fesa contro la volontà divina: l’organizzazione della società ha infatti una base sacrale ed
                        è divisa in tre, proprio come la Trinità. La teoria delle tre funzioni riproduce sulla Terra
                        l’ordine celeste.                                                                   GUIDAALLOSTUDIO
                        Naturalmente la teoria dei tre ordini non descrive la società medievale come esattamen-  1. Chi erano, rispettivamente, gli
                                                                                                            oratores e i bellatores?
                        te era. Sappiamo, infatti, che l’articolazione delle funzioni sociali era assai più complessa  2. I laboratores erano servi o liberi?
                        di quella così netta partizione. Essa esprimeva nondimeno la visione sociale dei ceti do-  3. In quali ambienti fu elaborata la
                        minanti, sia laici sia ecclesiastici, che detenevano il potere e la loro forte ostilità a qual-  teoria sociale dei tre ordini?
                        siasi mutamento.



                        6. Il guadagno                                                                     † Mercanti ebrei
                                                                                                           Le ricchezze accumulate dai
                         Denaro e infamia In questo periodo (come già nel mondo antico) tutte le attività re-  mercanti e usurai ebrei suscitavano
                                                                                                           gli appetiti di sovrani e signori e
                        munerate erano bollate da un marchio d’infamia. Il denaro, che occupava un posto mar-  l’invidia del popolino: di qui le
                        ginale nel sistema economico, era escluso anche dalla morale: i rapporti dignitosi tra gli  espulsioni dalle città, le confische
                                                                                                           dei beni e le violenze e i saccheggi
                        uomini dovevano essere regolati da doveri, servizi, prestazioni, non da pagamenti. Su tut-  che gli ebrei subirono nel corso del
                        ti i maneggiatori di moneta – procuratori, contabili, amministratori – pesava un grave di-  Medioevo. L’iconografia dell’epoca
                                                                                                           riflette questi atteggiamenti: in
                        scredito. Quanto agli usurai essi erano considerati gli individui più spregevoli; infran-  questa miniatura l’ebreo è raffigurato
                        gendo i precetti evangelici («prestate senza nulla sperarne»), gli usurai venivano meno al  come un personaggio barbuto e dai
                                                                                                           tratti somatici marcati (si può
                        principio basilare della fraternità cristiana: di più, essi traevano persino vantaggio dalle  osservare il naso aquilino dei due
                        disgrazie altrui e, cosa ancor più grave, commettevano una specie di sacrilegio, perché  personaggi), vestito riccamente e
                                                                                                           sempre intento a controllare i propri
                        speculavano sul tempo, che non apparteneva agli uomini, ma a Dio. Il tempo, proprietà  forzieri colmi d’oro.
                        divina, non poteva essere oggetto di lucro, e questo
                        portava di conseguenza la condanna di qualsiasi perce-
                        zione di interessi.
                        Se il denaro, considerato quasi come uno strumento de-
                        moniaco, era in se stesso fonte di peccato, si compren-
                        de bene come i mercanti, personaggi inevitabilmente
                        coinvolti in traffici e speculazioni, fossero in prima fila
                        in questo elenco di categorie detestabili. Il loro stesso
                        mestiere – si diceva – li portava alla menzogna, neces-
                        saria a ricavare il massimo dalla vendita delle merci, e
                        all’avidità, un vizio che contaminava chiunque non si
                        accontentasse dello stretto necessario per vivere. Per i
                        mercanti era inoltre molto difficile rispettare il princi-
                        pio fondamentale che, secondo l’etica medievale (e già
                        quella antica), doveva regolare i rapporti economici tra
                        gli uomini: il giusto prezzo, e cioè il prezzo di mercato
                        stabilito attraverso comportamenti limpidi e onesti, al
                        di fuori dei trucchi e degli stratagemmi che l’astuzia del
                        venditore introduceva nelle transazioni.
                         Morale ed economia Nel pensiero medievale di que-
                        sto periodo l’economia non possedeva, dunque, alcuna

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