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La società DOSSIER
tardoantica
l clima di crisi in cui versava l’impero romano del III sec. d.C. fu pienamente avvertito da alcuni Quale fu la
Iosservatori contemporanei. In uno scritto indirizzato a un pagano, un vescovo cristiano ben conseguenza più
esprime questo senso di precarietà e di sfacelo imminente [®DOC13].
rilevante della crisi
La crisi politica, che in un cinquantennio aveva visto succedersi al governo ben venti imperatori, era
aggravata dalla crisi economica.In seguito alla campagna militare partica (162-165),infatti,sulle re- economica del III
gioni dell’impero si abbattè un’epidemia di peste che determinò un brusco calo della popolazione secolo?
e una diminuzione delle rese agricole, in conseguenza delle quali i prezzi delle derrate alimentari
crebbero vertiginosamente.
La conseguenza più rilevante della crisi economica fu l’accentuazione delle disuguaglianze tra i va-
ri strati sociali: mentre le famiglie aristocratiche accrescevano sempre più le loro ricchezze
[®DOC14], i poveri si impoverivano sempre più. Queste grandi casate detenevano oltre al potere
economico anche il potere politico, rafforzato da vaste clientele [®DOC15].
Alla base della piramide sociale tardoantica c’erano i coloni, i quali, vessati dagli esattori delle im-
poste, si legavano sempre più ai loro padroni, cercandone la protezione.Tutto questo contribuiva a
un ulteriore rafforzamento dei poteri locali, a danno del sempre più debole potere centrale
[®DOC16]. La condizione dei coloni, inoltre, era aggravata da un provvedimento emanato dall’im-
peratore Costantino, che li vincolava a vita alla terra che coltivavano, limitando così la loro libertà
personale [®DOC17].
Non dissimile da quello dei coloni era lo stato sociale degli schiavi, i quali, in conseguenza dell’in-
tervento umanitario della Chiesa, migliorarono entro certi limiti la loro condizione [®DOC18]. In
una situazione di privilegio si trovava invece la plebe urbana, descritta con disprezzo dallo storico
Ammiano Marcellino [®DOC19];la plebe godeva di distribuzioni gratuite di generi alimentari.Nei
periodi di crisi, la mancata distribuzione di viveri alla plebe affamata sfociava in episodi di violen-
za, a danno dei ricchi [®DOC20 e 21].
Un mondo invecchiato
La minaccia sempre più pressante che i nemici esterni esercitavano sulla sicurezza dello Stato, e
la crisi economica che minava la stabilità sociale, diffondevano tra i cittadini dell’impero una
profonda inquietudine. Come sempre avviene nei momenti di crisi, anche gli uomini di quell’e-
poca sentivano il bisogno di trovare una spiegazione a quella, ai loro occhi improvvisa, decaden-
za. La ricerca delle cause si trasformava con facilità nella ricerca di un colpevole, e così pagani e
cristiani si attribuivano a vicenda la responsabilità dei mali presenti.
Per i pagani era la nuova religione, ormai sempre più diffusa, ad aver causato l’ira degli antichi dèi
e le punizioni da loro inflitte all’umanità. I Cristiani ribaltavano l’accusa e sostenevano che quel-
la attuale era una realtà ineluttabile. Il mondo – dicevano – era ormai «invecchiato» e destinato a
una prossima fine: non restava che pregare e attendere il giudizio divino. La tesi fu sostenuta con
particolare efficacia da uno dei grandi Padri della Chiesa, il vescovo di Cartagine Cipriano, in uno
scritto rivolto al pagano Demetriano.
DOC13
Cipriano, A Demetriano, 3-5 monimenti delle Sacre Scritture e delle fecondo di prodotti l’autunno. Diminuita,
profezie divine, lo stesso mondo già parla nelle miniere esauste, la produzione di ar-
Devi sapere che è invecchiato già questo di sé e coi fatti stessi documenta il suo tra- gento e oro, e diminuita l’estrazione dei
mondo. Non ha più le forze che prima lo monto ed il crollo. D’inverno non c’è più marmi; impoverite, le vene danno di gior-
reggevano; non più il vigore e la forza per abbondanza di piogge per le sementi, d’e- no in giorno sempre meno. Viene a manca-
cui prima si sostenne, anche se noi cristia- state non più il solito calore per maturarle, re l’agricoltore nei campi, sui mari il mari-
ni non parliamo e non esponiamo gli am- né la primavera è lieta del suo clima, né è naio, nelle caserme il soldato, nel Foro l’o-
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