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                                                                                          L’identità romana


                        namente accettabile: in Grecia, solo l’assemblea dei cittadini poteva creare nuovi cittadi-
                        ni. Si trattava di un procedimento complesso e difficile, che coinvolgeva un diritto so-
                        vrano della polis, per il quale non erano ammesse deleghe né a magistrati né, tanto me-
                        no, a privati. Completamente diverso lo scenario romano. A Roma il magistrato poteva
                        prendere decisioni in questa materia senza consultare l’assemblea. Ma ancor più impres-
                        sionante era, nel caso romano, la capacità d’iniziativa del singolo paterfamilias: la sua vo-
                        lontà, accompagnata da un semplice rituale e dall’approvazione formale del magistrato,
                        era sufficiente a liberare lo schiavo e a farne un cittadino con lo status di liberto. Ugual-
                        mente il paterfamilias aveva ampia facoltà di procedere all’adozione di nuovi membri nel-
                        la propria familia, anche qui assicurando i diritti di cittadinanza a chi non ne godeva.
                        Nella democratica Atene del V sec. a.C., acquisire la cittadinanza per mezzo del matri-
                        monio era inoltre impossibile: erano iscritti tra i cittadini di pieno diritto solo i figli nati
                        da genitori entrambi ateniesi. A Roma, invece, diventavano cittadini non solo i figli nati
                        dall’unione di un romano e di una straniera ma anche quelli nati dall’unione di una ro-
                        mana e di uno straniero.
                        Non meno sorprendente, se paragonato alla situazione greca, era il modo in cui i Roma-
                        ni procedevano alla fondazione delle loro colonie. Abbiamo già osservato la differenza
                        tra una colonia greca e una colonia romana: la prima era una città completamente auto-
                        noma rispetto alla madrepatria, la seconda era un pezzo di Roma fuori di Roma, comple-
                        to di cittadini romani che avevano il diritto di votare nelle assemblee che si tenevano a
                        Roma o di esercitare le più prestigiose magistrature romane [®12.11].
                         Vantaggi I vantaggi di questa soluzione erano evidenti. Mandando coloni romani in
                        Italia, e poi anche nelle province, la città procedeva a un’occupazione diretta e capillare
                        dei territori conquistati senza per questo privarsi di cittadini: Roma era dunque in grado
                        di esercitare un controllo territoriale più efficace e di mettere in campo grandi armate il
                        cui fulcro (le legioni) era interamente composto di cittadini accomunati dalla coscienza
                        di appartenere a un’unica patria.
                         Tra autoritarismo e duttilità La società romana era costruita su base autoritaria e oli-
                        garchica. Nella vita familiare il potere del  pater poteva assumere forme dispotiche
                        [®14.5]. Nella vita pubblica il potere politico era di fatto nelle mani di una minoranza di
                        individui appartenenti a famiglie nobili e ricche. Questa minoranza occupava il senato, le
                        magistrature, i sacerdozi. Nelle due principali assemblee del popolo (i comizi centuriati
                        e i comizi tributi) il potere era nelle mani dei cittadini più ricchi; la discussione non era
                        ammessa e il popolo non aveva molta capacità d’iniziativa. L’organizzazione parallela che
                        si era data la plebe (concili della plebe, tribuni della plebe, ecc.), integrata nel quadro del-
                        le istituzioni cittadine [®12.2], conviveva con esse tra alti e bassi ma in un quadro di so-  autoritarismo
                        stanziale armonia: i tribuni della plebe, molto spesso anch’essi nobili, agivano in sostan-  È la caratteristica di un regime
                        ziale accordo con la volontà del senato.                                            politico autoritario, in cui chi
                                                                                                            esercita il potere tende a limitare
                        Questo autoritarismo, evidente sia nella vita privata sia in quella pubblica, non era tut-  le libertà dei cittadini. Ma
                        tavia l’unica faccia del sistema. Esso si combinava, in un’inconsueta associazione, con ele-  «autoritario» può dirsi anche di un
                                                                                                            individuo (per esempio un padre
                        menti di grande apertura e duttilità. La famiglia, pur cementata da una struttura dispoti-  o una madre) che esercita con
                        ca, era una struttura aperta, a causa delle adozioni. Il paterfamilias, liberando lo schiavo,  intransigenza ed esagerazione
                        lo rendeva cittadino. Attraverso questi meccanismi di integrazione la società romana si  la propria autorità.
                        rinnovava e si arricchiva.
                         Consenso Il carattere autoritario dell’organizzazione politica romana avrebbe potuto
                        creare una situazione di conflitto sociale e di crisi permanente. Certo non furono rari i
                        momenti difficili, in cui la città sembrò doversi paralizzare per lo scontro di gruppi e di  LINK       p.346
                        ceti contrapposti. Ma nel complesso il sistema continuò a funzionare talmente bene da  I Romani visti dagli altri

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