Page 329 - Storia dell'inquisizione spagnola
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tribunali di Castiglia lasciavano la repressione di questi reati

               alle autorità civili ed ecclesiastiche. Va precisato che anche
               in  Aragona  il  delitto  rimase  di  competenza  di  entrambe  le
               giurisdizioni.  I  giudici  ecclesiastici  ordinari  o  civili
               continuarono a procedere contro la sodomia e la bestialità e
               i sospettati potevano incorrere indifferentemente nel rigore
               dell’una o dell’altra giurisdizione. Vedremo più oltre che era
               molto meglio per loro essere giudicati dall’Inquisizione: era

               una delle rare possibilità di salvare la pelle.
                  Il breve di Clemente VII non corrispondeva tuttavia a una
               pratica  divenuta  abituale.  Ricardo  García  Carcel,  che  ha
               pubblicato  in  appendice  al  suo  bel  libro  sugli  inizi
               dell’Inquisizione  a  Valencia,  la  lista  completa  di  2354
               persone perseguite dall’Inquisizione valenciana fra il 1484 e

               il 1530, non ha trovato durante quel periodo un solo caso di
               accusato  processato  per  reati  del  genere.  L’unico  che
               confessa  il  peccato  di  sodomia  è  un  certo  Antonio  Mosco,
               perseguito come giudeizzante. Ci mancano libri paragonabili
               a  quello  di  García  Carcel  sugli  inizi  dell’Inquisizione  a
               Barcellona e a Saragozza, ma abbiamo motivo di credere che
               le  azioni  contro  i  sodomiti  fossero  molto  rare.  Un  esame

               esaustivo delle relazioni di cause di Saragozza dimostra che
               la  repressione  della  sodomia  e  della  bestialità  da  parte
               dell’Inquisizione  non  assume  importanza  che  a  partire
               dall’autodafé  del  1546.  Fra  i  condannati  all’autodafé  del
               1540 nessuno lo è stato per l’uno o l’altro di questi delitti, e
               quello  del  1541  non  punisce  che  un  omosessuale,

               condannato  al  rogo  come  a  sodomita  qualificato»,  il
               sacerdote don Salvador Vidal, parroco di Maella.
                  La  discrezione  inquisitoriale  nel  reprimere  questi  peccati
               considerati tuttavia abominevoli si spiega benissimo. In quel
               periodo,  le  maggiori  preoccupazioni  dell’istituzione  sono
               altrove. E questo è ancora più vero per i tribunali aragonesi,
               data la situazione politica particolare dell’Aragona in quegli

               anni.
                  La  caccia  ai  cripto-giudeizzanti  ha  mobilitato  a  lungo,
               come  sappiamo,  tutte  le  forze  del  Santo  Uffizio,  di  cui,
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