Page 326 - Storia dell'inquisizione spagnola
P. 326
grave», e il capitolo XIX non lascia alcun dubbio sulla natura
del peccato che commettevano tutti gli uomini «giovani e
vecchi». Non giungono fino a volere «conoscere» i due
angeli di Dio, inviati per castigarli e che si sono riparati nella
casa di Lot, il solo uomo giusto della città? E il castigo è la
morte, la pioggia di fuoco e di zolfo su Sodoma e Gomorra
(Genesi, XIX, 24). Il diritto penale europeo si ricorderà del
fuoco.
D’altra parte, la condanna a morte è ripresa dal Levitico
(XX, 13): «Se un uomo giace con un altro uomo come con
una donna i due avranno commesso cosa abominevole e
saranno condannati a morte: il loro sangue ricadrà su di
essi».
Lo stesso Levitico (XX, 15 e 16) colpisce con la condanna a
morte i colpevoli di bestialità: «L’uomo che si accoppia con
una bestia sarà condannato a morte e si ucciderà la bestia. E
se una donna si accosterà ad un qualsiasi animale per
accoppiarsi con esso, ambedue dovranno essere uccisi». Il
libro dell’Esodo (XXII, 19) sentenzia anch’esso: «Chiunque
abbia commercio con un animale sarà condannato a morte».
Il Medioevo spagnolo, indubbiamente condizionato dal
diritto consuetudinario germanico, puniva il colpevole con la
mutilazione del membro. Dava così una consacrazione
giuridica alla pratica popolare, alla realtà vissuta. Per
esempio, il VI Concilio di Toledo (nel 693) puniva i sodomiti
con la castrazione, poi col bando, ed eventualmente con la
radiazione (nel caso di ecclesiastici), ma risparmiava loro la
vita. Il Fuero Real del secolo XIII, che raccoglie le leggi dei
diversi fueros locali, infliggeva ai colpevoli di atti di sodomia
e di bestialità la massima punizione, dando alla pena una
pubblicità atroce: il condannato veniva castrato di fronte al
popolo e quindi appeso per i piedi finché la morte non
sopravveniva. Ma le Partidas di Alfonso X posero fine alla
pratica popolare e, ispirandosi al diritto romano, stabilirono
la necessità che il delitto fosse provato. Mantenevano
tuttavia la pena capitale. La VII partida, titolo 21, leggi I e II,
stabiliva: «E se ciò è provato, deve morire per ciò tanto colui