Page 207 - Storia dell'inquisizione spagnola
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nostra cultura». L’uso, il consumo, la circolazione dei loro
corpi sessuati assicurano l’organizzazione e la riproduzione
dell’ordine sociale, senza però che ad esse sia mai
riconosciuto il ruolo di «soggetto» .
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Nei documenti dell’Inquisizione, lo stato della donna citata
precede sempre il suo nome, esse sono moglie di..., vedova
di..., doncella, mujer, soltera. Per quanto vedova, Ana de
Abella e doña Geronima de Noriega sono chiamate
unicamente beate. Tale è il loro stato; proprio come Juana
Bautista che è chiamata beata-damigella.
Lo stato di beata è quello predominante quando la donna
che vi aspira non vive nella comunità, sotto la protezione di
un uomo; almeno così le vedono i testimoni e gli inquisitori,
vale a dire la società in cui esse vivono. Anche se, come
talvolta succede, esse non si aggreghino a un ordine
religioso.
I censimenti confermano questa supposizione in quanto
precisano sempre lo stato delle donne senza uomini . Donne
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senza uomini? Ce ne sono altre: le vedove, molto numerose,
le zitelle o ragazze, le prostitute.
Ciò che distingue le beate è che esse sono votate a Dio, al
suo servizio. Sono le serve di Dio e, perché questo stato sia
noto pubblicamente, sono «vestite da beate».
Nel caso di Ana de Abella, il fiscale precisa: «Indossa la
tonaca di terziaria francescana». Anche secondo Menéndez
Pelayo, le donne implicate nella causa degli alumbrados di
Llerena nel 1578 «erano vestite da beate, con una cuffia e un
abito bigello».
Quale che sia lo stile di questi abiti, le testimonianze
dell’epoca concordano sul suo carattere distintivo. Questa è
una costante nell’epoca moderna: l’abito tende a definire
l’ordine, lo stato, a indicare l’appartenenza. Il che, nel caso
delle beate, sembra piuttosto difficile. Cosa implica l’abito
quando indica una terziaria o una beata carmelitana?
Sulle terziarie i nostri documenti ci danno poche
indicazioni. Michaella Tribino, nemica giurata dell’ilusa