Page 134 - Storia dell'inquisizione spagnola
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La forza degli esempi
Nel 1559 un terremoto sconvolse la Spagna cattolica.
L’arcivescovo di Toledo, Bartolomé de Carranza, un
domenicano molto conosciuto che per due volte aveva
rappresentato il suo paese al Concilio di Trento, era stato
arrestato dal Santo Uffizio per tesi considerate eretiche da
alcuni teologi del suo ordine, come Melchor Cano, tesi che
essi avevano creduto di individuare nei Commentari sul
catechismo cristiano dell’arcivescovo. Qualche mese prima il
papa Paolo IV aveva autorizzato l’Inquisizione a procedere
eccezionalmente, e per due anni, contro i vescovi, che
dipendevano solo dal papa, fermo restando che il processo
avrebbe dovuto celebrarsi a Roma. Proprio in virtù di questa
deroga Carranza fu arrestato e benché fosse reclamato da
Roma con insistenza e segnatamente da una delegazione nel
1565, egli restò sette anni in carcere in Spagna senza essere
trasferito.
Non era certo la prima volta che l’Inquisizione se la
prendeva con qualche personaggio famoso, a dispetto delle
precauzioni raccomandate dai manuali quando si trattava dei
grandi di questo mondo. Aveva già colpito un buon numero
di ecclesiastici e di nobili. A Valencia, è vero, prima del
1530, furono processati solo quattro nobili e ventisette
ecclesiastici ed è senz’altro una percentuale bassa; ma si
riferisce all’epoca in cui il tribunale infieriva quasi
esclusivamente contro i giudeizzanti. Quando la
giurisdizione inquisitoriale si ampliò, uomini di valore
caddero molto più frequentemente nella rete del Santo
Uffizio.
Prima del 1559, si era già verificato il caso di un segretario
dell’arcivescovo di Toledo, un illustre erasmiano, Juan de
Vergara, precisamente nel 1533. Poi quello dell’abate
benedettino Alonso de Virués, predicatore presso
l’imperatore, o di umanisti come Diego de Uceda, o del
professore di Alcalá Mateo Pascual. In quello stesso 1559 i
grandi autodafé di Valladolid e di Siviglia furono delle