Page 129 - Storia dell'inquisizione spagnola
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l’inquisitore  Mongrovejo  raccomanderà  ai  sacrestani  di

               spazzolare periodicamente tutti i sanbenitos.
                  Indubbiamente, questo mezzo è servito a perpetuare molte
               cattive reputazioni  in  materia  di  fede.  Si  sapeva  che  X  o  Y
               aveva  un  sanbenito  appeso  in  qualche  chiesa  anche  se
               quest’ultimo  aveva  avuto  la  precauzione  di  cambiare
               residenza. Si apprende così che uno degli uomini arrestati a
               Granada nel 1574 ha un sanbenito a Cordova. Altro esempio:

               una  ricca  famiglia  di  conversos  di  Jaén,  gli  Herrera,  si  era
               costruita,  grazie  a  falsi  documenti  una  discendenza
               immacolata.  Disgraziatamente,  un  vecchissimo  testimone
               rivelerà  l’esistenza  di  un  sanbenito,  portato  una  volta  dal
               nonno  «riconciliato»  dal  Santo  Uffizio,  appeso  in  una  delle
               chiese della città.

                  L’Inquisizione  ha  fatto  ampio  uso  di  questa  sanzione  a
               tempo  o  a  vita.  Essa  era  sempre  applicata  agli  eretici,
               giudeizzanti, moriscos, luterani... Così il tribunale di Toledo
               avrebbe condannato al sanbenito 186 persone fra il 1575 e il
               1610 e ancora 183 fra il 1648 e il 1794. Quello di Granada
               inflisse  la  stessa  onta  a  112  persone,  quasi  tutte  moriscos,
               durante  il  solo  periodo  1573-1577.  Al  contrario,  a  Siviglia,

               dal  1606  al  1612  si  ebbero  solo  12  condanne  alla  tunica
               ignominiosa. Nessuna meraviglia che vere proprie spedizioni
               clandestine  siano  state  effettuate  in  numerose  chiese  allo
               scopo di far sparire questi abiti tenebrosi.


                  Altrettanto grave, o peggiore, l’inabilità. I discendenti dei
               condannati a morte, o dei condannati al carcere a vita dopo
               la  «riconciliazione»,  erano  dichiarati  «incapaci»,  e  cioè
               venivano privati di tutti i diritti civili al pari dei condannati.
               Era  loro  proibito  indossare  abiti  di  seta  e  gioielli,  portare
               armi, montare a cavallo e anche viaggiare a dorso di mulo.

               Cosa  molto  più  grave,  essi  si  vedevano  interdette  un  gran
               numero  di  vocazioni  o  di  professioni:  non  potevano  entrare
               negli  ordini  religiosi,  né  esercitare  funzioni  pubbliche.  Era
               loro proibito, almeno in teoria, esercitare la medicina, fare i
               sensali  nelle  fiere,  commerciare  in  tessuti,  macellare
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