Page 109 - Storia dell'inquisizione spagnola
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«vinto» i tormenti, secondo la terminologia propria del
documento.
Questa resistenza presuppone certamente una grande
capacità di sopportare il dolore. Ma essa è anche resa
possibile dalla natura dei supplizi e dalle regole che i giudici
sono tenuti a rispettare e che a differenza dei giudici laici
essi rispettano quasi sempre alla lettera.
Si sono già citati questi supplizi: la garrucha (carrucola)
era costituita da una puleggia che manovrava una corda
legata ai polsi della. vittima. La vittima veniva issata
lentamente fino ad una certa altezza, poi lasciata andare di
colpo o a scosse successive; il potro era un cavalletto su cui
il torturato era legato con corde alle quali il boia imprimeva
torsioni ripetute in modo che esse penetrassero nella carne
delle vittime; la toca era un imbuto di stoffa attraverso il
quale si faceva colare lentamente nello stomaco del
suppliziato un orcio d’acqua. A Siviglia, per esempio, nel
1607, lo schiavo turco del duca di Medina Sidonia, Manuel
de Mendoza, sopporta senza venir meno dodici colpi di corda
e tre piccoli orci d’acqua: ha dunque superato
contemporaneamente il potro e la toca. La maggior parte
degli altri incriminati non subiscono generalmente più di tre
colpi di corda.
A Valencia i supplizi della garrucha e del potro sono
descritti con precisione in un testo molto notevole citato da
Ricardo Garcia Carcel, di cui vale la pena tradurre almeno
alcuni passi:
«Bisogna amministrare la tortura molto lentamente e con
moderazione, secondo la gravità del delitto e il boia non deve
né spaventare, né minacciare i suppliziati, né rivolgere loro
la parola [...] Gli inquisitori devono controllare che il boia
leghi le corde alla mano sinistra [...] in modo che il
suppliziato non diventi monco, né subisca delle fratture; e le
torsioni che si imprimono alla corda sulle braccia non
devono essere date una dopo l’altra rapidamente, così la
corda entra nelle carni [...] e produce l’effetto, mentre se si