Page 63 - Federico II e la ribellione del figlio
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coprirà la barba e andrà gridando «immondo!
immondo!»; e immondo se ne starà solo, abiterà fuori
dell’accampamento.
Anche se nel Vangelo di Marco (1 41-42) Gesú tenderà
la mano al lebbroso e lo purificherà, dal lebbroso tutti
continueranno a fuggire, sia per premunirsi dal contagio
che per una ripugnanza verso il suo stato. Alla luce di
tutto ciò può ragionevolmente congetturarsi che la
segregazione di Enrico, inizialmente legata
all’espiazione della pena, sia stata poi protratta per
l’insorgenza della lebbra, malattia da tenere il piú
possibile celata, per tutti i significati che le erano
attribuiti. E l’insorgenza della lebbra ci consente di
capire il senso di quell’ordine di Federico di assicurare
al figlio segregato – che «non è vestito come gli si
conviene», perché cencioso, come tutti i lebbrosi – abiti
dignitosi. E forse tutto ciò può far apparire meno
intransigente e meno chiusa alle istanze degli affetti la
stessa condotta paterna.
Certo è che fu sepolto con tutti gli onori nel Duomo
di Cosenza. Quando nel 1574 l’arcivescovo Andrea
Marino d’Acquaviva, per la prima volta, aprí il
sarcofago, trovò i resti di Enrico ancora avvolti da
brandelli di una ricca tunica ricamata in oro e argento,
recante l’aquila sveva con le ali in rilievo. S’intuisce
bene che quella tunica regale gliela fecero indossare da
morto per cancellare ogni traccia del lebbroso cencioso
che era stato negli ultimi anni di vita.