Page 96 - Federico II - Genio dei tempi
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durante l’anno in cui suo padre l’imperatore era vivo. È leggenda quella
che parla di una gabbia di ferro in cui i bolognesi lo avrebbero tenuto
segregato: Enzo era ospitato in una grande sala dove leggeva, scriveva,
cantava e riceveva visite di amici e di belle donne, una sala naturalmente
ben chiusa da catenacci durante la notte. Ebbe in quegli anni, da una
dama amata in prigione, due figlie naturali.
Ma sempre più melanconico e povero negli ultimi tempi non gli rimaneva
che poetare e cantare e non solamente d’amore: «Va cansonetta mia
salutami Toscana quella che è sovrana in cui regna tutta cortesia. E vanne
in Puglia piana la magna Capitana là dove è il mio core notte e dia...».
Nel Salento era viva sotto Federico II un’altra meno nota e sicuramente
meno originale cultura poetica: la poesia in lingua greca connessa alla
tradizione bizantina, ricca di immagini bibliche e liturgiche, incoraggiata
come quella siciliana dal clima e dallo stile di corte e del sovrano. Una
poesia non latina che si trasformò in poesia antilatina, ossia antiromana e
antipapale, e che si ispirava pienamente al programma politico federiciano.
A differenza di quelli della scuola siciliana, i poeti come Giovanni Grasso
e Giorgio di Gallipoli raccoglievano e sviluppavano con enfasi e impeto i
temi politici e civili, dal tema della renovatio imperii alla lode del sovrano,
all’invettiva contro le città ribelli e fedifraghe come la «crudelissima»
Parma. Federico imperatore era celebrato con espressioni enfatiche
tipiche della letteratura bizantina. Così scriveva Giorgio di Gallipoli,
funzionario di corte e letterato: «Il principe è potente e tre volte beato,
Federico il sovrano, bagliore di fuoco il cui arco è di bronzo e il cui dardo
è folgore che brucia da parte a parte i nemici. Il nome di Federico è luce
sfavillante che apre la strada alla gloria e tiene al suo servizio la terra, il
mare e la volta del cielo».
I CASTELLI
Scrive Federico nel Liber augustalis, De guerra non movendo: «Sarà
punito con la morte quel conte barone o cavaliere che muoverà guerra
al regno... i suoi beni e i suoi castelli saranno confiscati». La pace passa
anche attraverso l’annullamento delle forze antagoniste che attaccano
subdolamente il corpus del regno dall’interno del territorio. Forze ribelli
che si concentrano nelle rocche e nei castelli che vanno perciò o distrutti
o reintegrati nel demanio: «Stabiliamo che tutti i castelli, le fortezze, le
mura e le opere di difesa che dalla morte di re Guglielmo sono state
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