Page 94 - Federico II - Genio dei tempi
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Il  mistero  e  un  profumo  di  irraggiungibilità  avvolge  tutti  i  temi,  dalla
          sensualità all’amore puro. Satira, politica, temi morali sono, diversamente

          che  nella  tradizione  dei  trovatori,  argomenti  esclusi  da  questo  gioco
          poetico raffinato ed astratto, chiuso nella cerchia di pochi eletti, spazio
          di otium e di evasione dalle fatiche e dagli impegni dei poeti. Accanto ai
          nobili molti di loro, va sempre ricordato, erano funzionari del regno che

          vivevano in un clima già troppo politico: la poesia rappresentava dunque
          per tutti questi artisti un’evasione sublime dal quotidiano.
             Per comprendere appieno la singolarità geniale della scuola siciliana è
          indispensabile - piuttosto che a tanto sbrigativi quanto ignoranti biografi

          a  noi  contemporanei  -  tornare  ancora  una  volta,  come  ci  suggerisce
          Roberto Antonelli, a Dante e proprio al De vulgari eloquentia dove egli
          parla di
             ... quegli uomini grandi e illuminati, Federico imperatore e il suo degno

          figlio Manfredi che seppero esprimere tutta la nobiltà e dirittura del loro
          spirito  e  finché  la  fortuna  lo  permise  si  comportarono  da  veri  uomini
          sdegnando di vivere come bestie. Ed è per questo che quanti avevano
          in sé nobiltà di cuore e ricchezza di doni divini, si forzarono di rimanere

          in contatto con la maestà dei grandi principi cosicché tutto ciò che a
          quel tempo [Dante scrive quasi un secolo dopo] producevano gli italiani
          più nobili d’animo vedeva la luce dapprima nella reggia di quei sovrani
          così insigni. Poiché sede del trono regale era la Sicilia ne è venuto che

          tutto quanto i nostri predecessori hanno prodotto in volgare si chiama
          siciliano: ciò che anche noi teniamo per fermo e che i nostri posteri non
          potranno mutare.
             Si è discusso e si discute chi sia stato il motore primo al centro di questa

          scuola, chi ne sia stato il «fondatore»: Iacopo da Lentini, il «notaro» come
          lo chiama Dante, redattore di alcuni documenti d’archivio per Federico
          II, o lo stesso imperatore, grande oramai, lo sappiamo, in molte delle sue
          attività,  curioso  e  colto  ma  modesto  poeta?  Tutto  dipende  da  cosa  si

          intende per fondatore: se è colui che promosse e rese possibile la nascita
          e la identità della scuola siciliana, non si può che indicare Federico. Ma
          il poeta più prestigioso e originale della scuola resta senz’altro quello
          Iacopo da Lentini che inizia a scrivere nel 1233 ed è l’autore della famosa

          “Meravigliosamente un amor mi distringe e mi tene ad ogn’ora”.
             Si tratta in effetti di una disputa scolastica: il notaio Iacopo non è solo il
          più grande dei poeti della scuola siciliana e anche il probabile inventore
          del  sonetto,  ma  non  si  può  negare  che  Federico  sia  colui  che  ideò  e

          realizzò lo spazio culturale necessario alla nascita della poesia siciliana
          imprimendole, non con le sue composizioni, ma con la sua personalità



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